Il principio personalista ispira l’articolo 2 della Costituzione. In base a questo principio che riconosce e tutela i principi inviolabili della persona, sia a livello soggettivo sia a livello sociale,
la Corte Costituzionale ha deciso che, in alcune circostanze, l’adozione è possibile anche quando tra il genitore e il figlio adottivo maggiorenne ci siano meno di 18 anni. È necessario però che il divario d’età sia ragionevole – la Corte parla di “esiguo scostamento” – e che esistano valide ragioni – “motivi meritevoli” – per arrivare alla decisione. La questione era stata sollevata dalla prima sezione civile del Tribunale di Firenze in occasione della richiesta di adozione da parte di una donna, coniugata con un vedovo, nei confronti del figlio maggiorenne dello stesso che, dall’età di cinque anni, ha fatto parte della famiglia ricomposta. L’identità personale del ragazzo si è quindi modellata negli anni nel rapporto, evidentemente sereno, con entrambi i genitori, sia con il padre naturale sia con quella che ora è diventata la sua mamma adottiva.
Non riconoscere questo legame avrebbe potuto tradursi nella negazione di una identità personale costruita negli anni. E, tra i diritti inviolabili riconosciuti dall’articolo 2 della Costituzione - diritti civili, politici, economici, sociali, culturali, di solidarietà e nuovi diritti – c’è appunto anche l’identità personale.
“Si tratta di una decisione che nasce dalla scelta di applicare il principio personalista – commenta Elisabetta Lamarque, avvocato e docente di diritto costituzionale all’Università Bicocca di Milano - secondo cui le relazioni preesistenti contano e possono essere riconosciute e tutelate dal diritto. Secondo il principio personalista la persona non va considerata solo come individuo singolo ma vive al centro di una rete di relazioni che i poteri pubblici si impegnano a riconoscere e proteggere”. Sulla base di queste considerazioni, con la
sentenza n. 5 del 2024, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, del codice civile nella parte in cui, per l’adozione di maggiorenni, non consente al giudice di ridurre l’intervallo minimo di età di diciotto anni fra adottante e adottando, nei casi di esiguo scostamento e sempre che sussistano motivi meritevoli. “La Corte – si legge nel comunicato dell'Ufficio stampa della Consulta - ha rilevato come l’adozione di persone maggiori di età abbia perduto l’esclusiva funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio e,
divenuto strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, sia volta a suggellare legami “affettivo-solidaristici” che, consolidatisi di fatto nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo e di istanze di solidarietà”. Secondo appunto il dettato dell’articolo 2 della Costituzione. “La sentenza mi pare ben argomentata – osserva Frida Tonizzo, responsabile dell’Associazione famiglie adottive e affidatarie (Anfaa) – e se applicata solo in caso di “divario esiguo” possa servire per risolvere casi simili a quello citato”.Al centro della riflessione dei giudici supremi la situazione di tante famiglie ricomposte “in cui alle preesistenti relazioni di parentela si aggiungono nuovi legami definiti da una misura di affetti e solidarietà che è propria della comunità familiare”. In queste nuove famiglie, statisticamente sempre più rilevanti, capita spesso che uno dei due genitori diventato anziano, decida di affidarsi all’adozione per rafforzare “un vincolo solidaristico di fatto già instaurato” con il figlio o la figlia del coniuge. In queste situazioni, alla presenza di un figlio già maggiorenne, secondo la sentenza, è irragionevole insistere sulla regola sul divario di età “priva di un margine di flessibilità in quanto destinata ad entrare in frizione, nell’assolutezza della previsione, con il diritto costituzionale inviolabile all’identità personale”. Quello appunto sancito dall’articolo 2 della Costituzione. Il giudice sarà quindi chiamato a valutare caso per caso, alla ricerca di un punto di “equilibrio tra la regola del divario di età fissata dal codice civile ed il diritto all’identità della persona, anche nelle formazioni in cui esprime e forma la sua personalità”. Con questo criterio
il tribunale competente “provvederà a valutare se esistano motivi meritevoli che consentano di derogare alla previsione del codice civile nel caso in cui la riduzione di quel divario risulti esigua”. La sentenza richiama comunque - quale regola generale - "la necessità di conservare una ragionevole limitazione del divario esistente in natura tra genitore e figlio”. Sullo sfondo, anche se la sentenza non ne fa esplicito riferimento, c’è anche la legge 173 del 2015 sulla continuità affettiva che tra le altre prerogative, tutela le relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento. Vincolo affettivo considerato dalla legge talmente importante da consentire (articolo 4) la possibilità di adozione del minore orfano di entrambi i genitori non solo da parte di “persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo” ma anche da parte di chi, pur non essendo legato da parentela, abbia maturato una relazione continuativa con il minore.
Anche in questo caso la legge si è preoccupata di mettere al primo posto la tutela dell’identità personale costruita nel rapporto con chi ha svolto ruoli genitoriali “di fatto”, anche al di fuori dei cosiddetti legami di sangue.