Attualità

DIRITTI UMANI. Adesso la politica si muove: rimarrà in Italia

Alessia Guerrieri domenica 4 settembre 2011
Buone notizie, anche se non uf­ficiali. Nessuna dichiarazione nero su bianco, in sostanza, ma le informazioni che nella Capita­le ruotano intorno al caso di Kate fan­no ben sperare. Una cosa è certa: la donna «non verrà reimbarcata su un aereo per la Nigeria lunedì», quando uscirà dal carcere. Questo non è solo improbabile, ma anche tecnicamen­te non fattibile, vista la complessità della situazione ed i tempi della bu­rocrazia. Molto più verosimile, invece, che a Castrovillari, in Calabria, lunedì la donna appena scarcerata venga por­tata in questura dove ribadirà la sua richiesta di asilo politico, formulata una decina di giorni fa. Tuttavia ci vorrà tempo, forse anche molte setti­mane, per avere un parere dalla com­missione istituita ad hoc. Ai suoi membri, infatti, spetta la verifica sul­la veridicità delle dichiarazioni della donna e sui reali pericoli che corre nel suo Paese. Nel frattempo, perciò, Ka­te aspetterà la risposta in un Cie (Cen­tro di identificazione ed espulsione) o in alternativa in una struttura di ac­coglienza, dove potrebbe essere tra­sferita forse già lunedì. «Passeranno mesi, prima che si arri­vi ad un accoglimento o a un rigetto della richiesta d’asilo», fanno sapere comunque gli organismi competen­ti. Normalmente la procedura è que­sta. Ma chi ha in mano le carte va an­che oltre e, pur invocando il riserbo, arriva a tratteggiare le prossime pun­tate della storia di Kate. Visto che la ni­geriana è nel nostro Paese da anni e ha alle spalle anche una condanna non lieve, «è ipotizzabile che la sua ri­chiesta non sia accolta». Ma anche in questo caso, Kate non deve temere per la sua vita, rassicurano da Roma, perché ci sono tutti gli estremi per u­na «protezione internazionale uma­nitaria ». Insomma, le potrebbe esse- re concesso un permesso di soggior­no per motivi umanitari. «L’Italia non è una nazione che rimanda a casa u­na donna che nel suo Paese d’origine rischia la vita e non lo faremo nean­che in questo caso». Non importa, dunque, quanto sia alto questo ri­schio, basta solo il minimo sospetto che lei in Nigeria possa vedere mi­nacciata la sua incolumità. Il Vimina­le, a quanto pare, si sta già orientan­do per questa soluzione, anche se per ora nessuno può dare certezze “in chiaro”. La situazione di Kate non è poi così semplice. Dopo una condanna a quattro anni emessa dal tribunale di Roma, avendo scontato la sua pena nel carcere calabrese di Castrovillari, è il tribunale di sorveglianza di Co­senza che dovrà rendere effettiva la sua espulsione. Ma per emettere il fo­glio di via, il giudice attenderà, ap­punto, le conclusioni della commis­sione asilo. Mentre la giustizia va avanti, anche politica, sindacato e mondo dell’as­sociazionismo non stanno con le ma­ni in mano. «Già martedì, alla ripresa dell’attività della Camera, farò un’in­terrogazione al ministro dell’Interno chiedendo di intervenire subito», spiega la deputata del Pdl Souad Sbai che ha avuto anche rassicurazioni dal governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, sulla sistemazione che Ka­te avrà una volta uscita di cella. «Ci sono centinaia di Kate in Italia – am­mette – anche se non fanno notizia, dobbiamo pensare anche a loro. Sa­rebbe un’ipocrisia andare ad aiutare le donne che vivono in condizioni di pericolo all’estero ed ignorare tutte quelle che abbiamo qui, in Italia». Ac­canto a lei ci sono dodici parlamen­tari bipartisan che ancora attendono risposta a due interpellanze fatte al ministro Maroni e al neo ministro del­la Giustizia, Nitto Palma. Anche il sindacato di via Po, come la gran parte del mondo cattolico, se­gue con attenzione la vicenda ed è pronto ad intervenire. La prima in or­dine di tempo sarà forse proprio la Ci­sl che lunedì tratterà il caso, porta­to all’attenzione dei vertici dalla se­gretaria confederale con delega alle politiche migratorie, Liliana Ocmin. «Cercheremo di formalizzare la no­stra richiesta già domani per aiutare Kate – precisa – agendo nel modo mi­gliore, anche senza grandi proclami, per tutelare soprattutto la ragazza». Senza dimenticare, comunque, che vanno aiutate e informate le tante donne che «vivono lo stesso dramma nell’ombra».