Genova. Acciaio e luce: durerà mille anni. I segreti del Ponte San Giorgio
Il ponte San Giorgio a Genova
Ha i piloni ben piantati a terra, il nuovo ponte San Giorgio inaugurato a Genova. Renzo Piano, che l’ha progettato, si augura che duri un millennio. A differenza di quello che l’ha preceduto, il Ponte Morandi (dal nome del suo progettista), che è durato solo 50 anni. La tragedia del crollo nell’agosto 2018 ha fatto sì che il nuovo viadotto sia stato concepito all’insegna della sicurezza e della stabilità. Lo scopo è anzitutto di prevenire i rischi derivanti da diversi fattori: le vibrazioni impresse alla struttura dagli imponenti flussi di traffico che vi transitano sopra (dati di anni recenti parlano di circa 70mila veicoli al giorno in media, di cui quasi 12mila pesanti, e in futuro certo il traffico non diminuirà), le condizioni idrogeologiche e la corrosione causata dall’aria salmastra portata dai venti (la rottura di uno strallo in calcestruzzo armato precompresso a conseguenza dell’ossidazione dei ferri sembra sia stata la causa principale del crollo del 2018).
Ma la firma di Renzo Piano, il più noto nel mondo tra i grandi architetti italiani contemporanei, ha garantito anche un esito armonico, equilibrato ed espressivo alla nuova struttura. Il nuovo ponte, lungo quasi 1.100 metri e largo 30, è retto da 18 piloni alti una cinquantina di metri ed a volume curvo: la loro sezione orizzontale è un’ellissi il cui diametro maggiore è di 9,5 e quello minore di 4 metri. I pali sono disposti alla distanza di 50 metri, tranne quelli centrali che hanno distanza doppia per lasciare il varco aperto al fiume sottostante. Sulle loro superfici, chiare come tutte quelle del viadotto, la luce scivola donando leggerezza alla mole imponente. I piloni poggiano poi su palificazioni che penetrano nel sottosuolo a profondità variabili, fino ad altri 50 metri: in questo modo se ne garantisce la stabilità pure in caso di terremoto o di inondazioni nel letto del fiume Polcevera. Quando annunciò il suo progetto, offerto a titolo gratuito per favorire la pronta ricostruzione del viadotto, Renzo Piano sottolineò che nel disegnarlo avrebbe fatto ricorso all’immagine della barca: «Sembrerà una nave ormeggiata nella valle; un ponte in acciaio chiaro e luminoso. Sarà sobrio, nel rispetto del carattere dei genovesi » disse. E infatti vari aspetti recano echi marinareschi. A partire dalla carenatura su cui poggia l’impalcato, che ricorda appunto la figura di una chiglia disposta trasversalmente rispetto alla direzione della strada. La forma è composta da conci in acciaio che alcuni separatori isolano dai piloni portanti, così da permettere quei piccoli movimenti elastici cui la struttura orizzontale può essere soggetta o per le dilatazioni termiche, o in caso di terremoti. Sopra tale chiglia in acciaio si distende l’impalcato su cui corre l’autostrada, dotata di quattro corsie oltre ad altre due di emergenza. La lunga carenatura si assottiglia alle estremità, dalle quali sporgono due grigliature orizzontali rette dal prolungamento della costole metalliche che strutturano la forma dei conci. Al di sopra si elevano pannelli verticali in cristallo che formano due pareti laterali continue e accompagnano tutto lo sviluppo del ponte (hanno una lunghezza totale di 2450 metri).
Le grigliature reggono pure i camminamenti laterali atti a permettere le opere di manutenzione, mentre i vetri trasparenti hanno lo scopo di proteggere i veicoli in transito dal vento e impediscono la caduta del personale che si occupa della manutenzione, mentre consentono a chi viaggia sull’autostrada di osservare il panorama circostante. Lungo la linea mediana dell’impalcato, e in coincidenza con quasi tutti i piloni sottostanti, si elevano sopra il viadotto 18 antenne alte 28 metri, dalle quali nella notte una serie di fari getta luce sulla strada: i fasci luminosi discendono a triangolo, e così ricordano il profilo delle barche a vela. È stato riedificato in tempi inconsuetamente rapidi, solo due anni: merito anche della direzione lavori e del coordinamento affidati a 80 tecnici del Rina. Quattro robot sono preposti a monitorare in continuazione le condizioni delle strutture percorrendole ai lati, e a tenere pulite in particolare le pareti vetrate (tali robot, così come gli impianti illuminotecnici, sono alimentati da pannelli fotovoltaici). Vista da lontano, la lunga carenatura ricorda anche l’immagine di un’ala. E infatti il Genova San Giorgio è una struttura amica del vento e della luce. Insieme con quelle realizzate nel Porto Antico di Genova per l’Expo internazionale dedicata a Cristoforo Colombo, nel 1992, è la più importante opera progettata da Renzo Piano per la sua città. Sovrasta il parco fluviale e vicini vi sono diversi edifici. Sarà cruciale per le comunicazioni ma anche per i rapporti internazionali: vi passa anche gran parte del traffico tra Francia e Italia. La sua costruzione ha valore per l’Europa nel suo complesso, oltre che per testimoniare il desiderio di rinascita del Paese dopo la tragedia. È forse il segno di una nuova epoca, in cui si torna a badare alla sicurezza e alla durata di quanto si costruisce. Senza rinunciare alla qualità del disegno: un buon segno.