Attualità

IL FATTO. «A Scampia non bastano i proclami»

Valeria Chianese venerdì 3 febbraio 2012
La complessità di un quartiere come Scampia, a Napoli, è confermata dagli ultimi avvenimenti nati intorno alla proposta di proclamare il coprifuoco come risposta alla camorra. La notizia, apparsa alcuni giorni fa su un quotidiano locale, ha scatenato indignazione e polemiche. E oggi, alle 12 e poi ancora nel pomeriggio, ci sarà un primo raduno informale, a piazza Giovanni Paolo II, da parte chi vuole reagire a questo ennesimo, presunto, abuso.I cinguettii lanciati da un noto social network che invitano ad «occupare Scampia» – "occupyscampia" – e a farlo davvero con le facce e con il cuore, lasciano tuttavia perplessi associazioni, parroci, abitanti. Le persone cioè che vivono ogni giorno Scampia, che aiutano i bambini, incontrano le donne, parlano con gli uomini e con i giovani perché non disperino, inventano attività nelle strade ed anche negli edifici requisiti alla camorra. Le persone che tendono una mano e si arrabbiano perché il centro, quello delle istituzioni, si fa sempre più lontano e vago. Le persone che innalzano trincee di idee e di iniziative contro la camorra e che ieri sera anche il cardinale Crescenzio Sepe ha ricordato per il loro impegno, la loro capacità di «sconfiggere il male con il bene».E «quando un giovane non ha prospettive positive – ha continuato il presule – è chiaro che si butta nelle braccia del malessere. Bisogna dare loro concrete possibilità, evitando che ciò accada».«Garibaldinerie», bolla allora i richiami lanciati da Twitter ad «occupare Scampia», Ciro Corona di Resistenza Anticamorra. «Noi, le associazioni e le parrocchie siamo la voce, la vita e il lavoro del quartiere», dice. E lancia una provocazione: «Venite sì, ma ad occupare le piazze di spaccio». Quindici nel quartiere, e sono quelle che lo rendono famoso come il market della droga più grande d’Europa. Ma le forze dell’ordine ogni giorno conquistano nuovi spazi e li restituiscono alla collettività. La crisi tocca così anche i clan, spezzati da arresti che lasciano vacanti tasselli spesso occupati, però, da giovanissimi, che trovano nella criminalità organizzata l’alternativa a una vita senza prospettive. Perché nessuno nega che ci sia la camorra e la paura. Ma Scampia non è ostaggio dei malviventi e non è sotto assedio.Ci sono otto parrocchie e sessanta associazioni. Con volontari, operatori, animatori; e poi palestre, doposcuola e scuole calcio. Tra loro, Gianni Maddaloni, gestore della palestra fondata da suo figlio Pino, campione olimpico di judo; Martina Pignataro del centro Gridas, noto per i murales dell’artista Felice Pignataro; Antonio Piccolo, presidente di ArciScampia, una scuola calcio che ospita oltre cinquecento ragazzi. Insieme, ringraziano chi sarà al loro fianco ma, osservano, «per Scampia occorrono azioni concrete, come la conclusione dei lavori della metropolitana, la realizzazione del polo universitario e un serio dibattito politico sullo sviluppo del settore terziario». Chiara Ciccarelli, responsabile dell’area giovani del centro sociale Mammut, sottolinea l’importanza del lavoro quotidiano degli operatori nella lotta all’emarginazione: lo stereotipo di Scampia come terra del crimine servirebbe soltanto «ad una costruzione letteraria e giornalistica» e ad alimentare la spirale di violenza e miseria in cui vive il quartiere.Allora avanza il sospetto, e lo affermano i parroci e gli operatori del posto, che quella del coprifuoco sia una “bufala mediatica” per distogliere l’attenzione dalla violenza che insanguina la periferia romana o, per qualche politico, per aprirsi una comoda passerella elettorale. A spese di chi sopporta i disagi di Scampia.