Le primarie. A Roma centrosinistra al test dell'affluenza
Da sinistra: Tobia Zevi, Paolo Ciani, Imma Battaglia, Roberto Gualtieri, Cristina Grancio, Giovanni Caudo e Stefano Fassina alla firma della "carta d'intenti" per Roma Capitale
«Non andate al mare, c’è il rischio di assembramenti, farà caldo, c’è traffico». Il controcanto all’invito di Bettino Craxi ad andare al mare, piuttosto che mettersi in coda ai seggi per il referendum di Mario Segni per la preferenza unica, nel lontano 1991, è il tam tam che parte dalle sezioni romane del Pd. Il dato sull’affluenza è senz’altro il più atteso e il più importante di queste primarie romane, fissate a suo tempo per oggi, alla fine di giugno, nella speranza di ritrovarsi con la campagna vaccinale in fase avanzata e un numero di contagi contenuto, per non mettere a rischio i cittadini. E tuttavia non sembra scattata la scintilla per gli elettori di centrosinistra, che pure in passato avevano dato grande prova di coinvolgimento nella scelta dei propri rappresentanti.
In tempi di Covid molte attività hanno ridotto gli affari e le aspettative, costrette a contenere clienti e avventori, e in quest’ottica il Pd intende ora inquadrare il verosimile ridimensionamento dell’affluenza alle primarie, dopo il flop di Torino. Così quella del 20 giugno sarà comunque la «festa della democrazia», come più volte è stata definita negli anni la partecipazione ai gazebo, pure se in misura ridotta rispetto a quello che ancora prima veniva chiamato «un bagno di democrazia». Soprattutto a Roma, dove l’asticella era rimasta agli oltre 46mila, tanti furono i votanti che nel 2016 scelsero Roberto Giachetti come candidato sindaco (contro Roberto Morassut), risultato comunque ben lontano dai dati del passato che – dalla scelta di Romano Prodi in poi – si sono andati via via riducendo.
Oggi a Largo del Nazareno basterebbe anche meno, ma quanto meno non si sa. «Nelle condizioni date, uno in più dei tre che hanno deciso il candidato del centrodestra è già una buona cosa», ironizza Bruno Astorre, senatore e segretario del Pd del Lazio. «E comunque sia – aggiunge – , da noi è il territorio che decide, anche rispetto alle "cliccarie" dei 5 stelle».
La sfida romana, dunque, dopo il gran rifiuto di Nicola Zingaretti, che ha scelto di restare in Regione per non sacrificare il delicato accordo con i pentastelati, e dopo il "no" di Carlo Calenda di confrontarsi con i candidati del centrosinistra nelle primarie di coalizione, sarà una gara a sette: Roberto Gualtieri, sostenuto dalla dirigenza dem, se la giocherà con il presidente del III Municipio ed ex assessore di Ignazio Marino Giovanni Caudo (su cui punta l’ex sindaco), con il deputato di Leu Stefano Fassina, con il civico Andrea Tobia Zevi, con il coordinatore nazionale di Demos Paolo Ciani (una vita nella comunità di Sant’Egidio), con l’ex M5s Cristina Grancio (che corre per il Psi) e con Imma Battaglia, storica attivista Lgbt. I sette si sono confrontati in presenza all’interno dello "Spin Time Labs", edificio occupato che ospita migranti e persone in emergenza abitativa, suscitando non poche polemiche tra gli avversari. Tra loro i toni sono rimasti sempre pacati e il dibattito si è svolto in un clima di grande rispetto. Anche perché, di fatto, la vittoria di Gualtieri sembra scontata, ma restano comunque da definire i rapporti di forza dei singoli, e si punta anche sui rispettivi candidati alla presidenza dei municipi romani.
Insomma, la partita tra i contendenti va avanti, malgrado le previsioni fosche sull’affluenza. E il segretario dem Enrico Letta non si lascia abbattere, continua a difendere il sistema adottato fin dagli albori del Partito democratico, con un occhio alla tradizione statunitense. Anzi, l’ex premier ringrazia i «tantissimi volontari» che ci hanno lavorato e «ai critici di questa nostra preferenza per la partecipazione dico che noi siamo fatti così. E su questo non cambieremo». Tanto più che, twitta il segretario, oggi «migliaia di cittadini sceglieranno il candidato a Roma e Bologna».
La tensione per un eventuale nuovo flop, però, non manca, e i tanti rappresentanti del Pd in questi giorni hanno messo diversi argomenti di fronte alla preventivata bassa affluenza: la domenica di sole con la regione Lazio dopo tanti mesi in fascia bianca, la partita della nostra Nazionale alle 18, la paura dei contagi... Motivo per cui si è allungato l’orario di apertura dei mini-seggi dalle 8 alle 21. E puntuale alle 17, il segretario del Pd sarà invece a piazza Santa Maria Liberatrice, per votare al gazebo del suo quartiere Testaccio. Né saranno di aiuto i voti online, previsti per la prima volta in questa occasione, dal momento che a registrarsi – Spid alla mano – alla piattaforma messa a disposizione dal Nazareno sono stati solo in tremila, alla vigilia della consultazione. E però al prescelto, che verrà proclamato candidato ufficiale della coalizione intorno alle 23 di oggi, sarà richiesto un mandato forte, per competere con la sindaca uscente Virginia Raggi, il leader di Azione Carlo Calenda e il rappresentante del centrodestra Enrico Michetti, affiancato da Simonetta Matone e Vittorio Sgarbi. La presenza di Calenda, che viene comunque dalla stessa area di centrosinistra, metterà a dura prova il risultato per la sfida al ballottaggio. D’altronde l’ex ministro non ha mai negato la sua amicizia sia con Letta sia con lo stesso Gualtieri, verso i quali non ha mai usato parole aspre, anche se ancora ieri rimproverava al segretario dem una mancanza «di coraggio». E a oggi la sua decisione di restare in corsa ma contro il candidato che uscirà dai gazebo, finirà per destabilizzare il quadro in un centrosinistra che non ha trovato l’intesa con i 5 stelle.
Anzi, proprio il malgoverno addebitato a Virginia Raggi ha rappresentato il collante tra i sette concorrenti. Un comune denominatore che si ferma però alla volontà di soppiantare l’attuale sindaca grillina. Perché poi le posizioni divergono su cosa potrebbe succedere al ballottaggio. A parole, infatti, tutti negano che alla sfida finale arriverà Raggi contro Michetti (o Calenda). Ma se dovesse accadere, il Pd si divide sulla possibilità di convergere sulla candidata pentastellata. Il tema dell’alleanza con i 5 stelle, al di là delle critiche sulla gestione della Capitale negli ultimi cinque anni, resta ancora divisivo tra i dem romani.
La partita d’autunno si preannuncia perciò molto complessa per il centrosinistra. E quello di oggi sarà solo un passaggio, in vista della grande sfida. Al voto saranno ammessi anche i sedicenni e gli immigrati residenti regolarmente in Italia. Quasi 200 i gazebo allestiti nella Capitale, tra sezioni Pd, circoli e strade, 900 i volontari. Con la grande speranza di non scendere sotto i 40mila partecipanti.