La bella Italia. A Policastro l'accoglienza degli «ambulanti regolari»
Penda e Ibrahim escono alle 7 di casa. Lei in abbigliamento marino, con un bel cappellino di paglia e un’ampia borsa. Lui sportivo con zainetto e un bustone di plastica. Sono due ambulanti senegalesi e la loro casa è nell’episcopio di Policastro, ospiti del vescovo di Teggiano-Policastro, padre Antonio De Luca, assieme ad altri lavoratori immigrati. Proprio sotto la bellissima cattedrale romana dell’XI secolo, edificata per volere del re normanno Roberto il Guiscardo. In questo momento sono quattro, tutti senegalesi e tutti ambulanti. I famosi 'vu comprà' che il ministro Salvini ha messo nel mirino, offrendo finanziamenti ai comuni per pattugliare le spiagge che per il responsabile del Viminale sono 'infestate di abusivi'.
Qui la Chiesa ha invece aperto le porte agli ambulanti che negli altri anni erano costretti a dormire sulla lunghissima spiaggia del Golfo di Policastro, riparandosi sotto le barche, anche per sorvegliare la mercanzia. «Stiamo solo accogliendo povere persone che avevano bisogno. Parliamo di esseri umani. Noi cerchiamo di dare piccoli segnali – ci spiega il vescovo che all’interno della Conferenza episcopale campana si occupa proprio di migrazioni –. I percorsi di integrazione devono partire dai piccoli centri, perché c’è umanità e i problemi sono diluiti e affrontati con un’immediatezza che non li fa esplodere. Vedo segni positivi». In questi giorni oltre a Penda, 38 anni, e Ibrahim, 19 anni, ci sono Maguette, 47 anni, e Yacine, 40 anni.
Qui possono dormire su un vero letto, hanno il bagno e una doccia, presto arriveranno un frigorifero e un ventilatore. Possono anche usufruire della mensa diocesana per i poveri, italiani e stranieri, della vicina Sapri. E a pochi chilometri, a San Cristoforo di Ispani, è disponibile una casa che la diocesi ha preso in affitto per varie emergenze abitative e che attualmente ospita un cittadino della Costa d’Avorio, un bosniaco e un napoletano sfrattato. Il tutto grazie all’impegno dei volontari della Caritas diocesana, come Domenico Abbadessa che ci accompagna ad incontrare i quattro ospiti. Sono tutti in Italia da molti anni, anche il ragazzo che è arrivato quando ne aveva appena 14.
Il primo incontro con loro lo abbiamo fatto di mattina mentre si preparano per andare al lavoro. Maguette, musulmana come gli altri, sta pregando in un angolo. Non sono preoccupati della nostra presenza. Qui davvero sono 'a casa'. Ci fanno vedere la Carta d’identità italiana che riporta alla voce 'professione' la qualifica 'ambulante'. Le tre donne fanno treccine e altre acconciature, con perline e altri abbellimenti. Ibrahim vende cinture, che va a prendere a Napoli. Sono regolari, con permesso di soggiorno. Maguette, Penda e Yacine d’inverno fanno le badanti nei paesi dell’interno, d’estate si spostano sulla costa. Ibrahim fa l’ambulante tutto l’anno, vendendo le sue cinture nelle fiere paesane. Ogni tanto tornano in Senegal, ma il lavoro è qui in Italia. Lavoro duro, e lungo. Li rivediamo a tarda sera, quasi alle 23. Alcune donne hanno fatto lo 'straordinario' serale sul lungomare, approfittando della 'movida'. Sono stanchissime, si buttano sui letti coi piedi in alto.
«Che male, che male!». Ma sorridono. Non vedi tristezza su questi volti. Allegri come i coloratissimi abiti delle donne. Eppure la loro non è certo una vita da 'pacchia'. Sono tutte mamme, con non pochi figli. Rimasti in Senegal. Parliamo un po’ con loro, mentre mangiano cous cous. «Come è andata la giornata?». «Poche treccine», ci rispondono Maguette e Yacine. «Va peggio degli altri anni, quest’anno si vende meno», conferma Ibrahim. Ma non ci sono problemi di intolleranza. «Ci hanno sempre trattate bene, e anche quest’anno, non vedo razzismo », dice ancora Yacine. «Qualcuno no, risponde male, ma è la vita», riflette da adulto il giovane Ibrahim. Nessuno di loro ha mai avuto multe e, dicono, in questi giorni «non abbiamo visto polizia». Ma hanno visto e toccato con mano la solidarietà.