Attualità

Reportage. Il cimitero di Lampedusa che ospita gli invisibili

Riccardo Maccioni sabato 14 settembre 2024

La tomba del piccolo Youssef Ali Kanneh

Da qui il mare non si vede, eppure è ovunque. Nei disegni che “colorano” le lapidi, nelle foto ricordo sulle tombe dei lampedusani che hanno avuto una morte “normale”, nella frase di Cesare Pavese seminascosta da una nuvola di fiori a salutare chi arriva: «Quale mondo giaccia al di là di questo mare non so, ma ogni mare ha un’altra riva e arriverò». Una speranza, chissà se diventata certezza, che domina lo spazio che il Cimitero vecchio di Lampedusa ha dedicato ai migranti morti nel Mediterraneo, tragica e infinita fossa comune su cui ormai pochi piangono. Qui invece se non fai attenzione le lacrime arrivano agli occhi. D’altronde, non si può rimanere indifferenti di fronte al disegno con l’arcobaleno sotto la lapide di Youssef Ali Kanneh. Il piccolo originario della Guinea aveva appena sei mesi quand’è stato inghiottito dalle acque, e accanto a una fotografia senza cornice i genitori hanno scritto in inglese: «Perché così presto figlio mio? Mamma e papà ti ameranno per sempre». La domanda resta lì, sospesa, senza risposta come il seme di un rosario fatto soltanto di misteri dolorosi. Ma non è meno triste la storia di Welela morta il 16 aprile 2015 durante la traversata dalla Libia dopo essersi ustionata nell’esplosione di una bombola. E vale la medesima commozione la vicenda della nigeriana Ester Nada scomparsa 18enne su un mercantile che solo dopo quattro giorni di inutili richieste ha avuto il permesso di attraccare.

Una delle tombedon nel cimitaro dei migranti - dondonsar

Sono bambini, ragazzi, uomini e donne che non conosciamo quelli di cui si fa memoria in questo giardino di terra secca, con le croci realizzate dall’artigiano Francesco Tuccio, le decorazioni raffiguranti pesci e conchiglie e la targa che ricorda come in questo piccolo camposanto «riposino musulmani e cattolici, vecchi e giovani, neri e bianchi, tutti migranti morti in mare in cerca della libertà». Sconosciuti sì, eppure li sentiamo nostri, perché niente unisce più del dolore innocente e della nostalgia di una vita soffocata spesso prima ancora di cominciare a camminare. Sotto il peso di un delitto mai commesso, che si chiama guerra, miseria, fame. Colpe che solo per la fortuna di essere nati a poche decine di chilometri di distanza non sono toccate a noi. Per questo è bello che lo spazio dedicato ai migranti confini fino quasi a intrecciarsi con le file di morti lampedusani. Un elenco di Filippo, Girolamo, Calogero, Andrea per citarne solo alcuni. E piace pensare che uniti nello stesso dolore della morte, queste persone vigilino perché nessuno tolga a quei poveri migranti il nome e quindi l’identità, che la fossa comune, anzi il buco nero del Mediterraneo, annulla, eliminando ogni differenza tra un essere umano e un altro. E invece siamo tutti diversi, unici e irripetibili. Persone. Ce lo ricorda un cimitero, luogo di memoria, preghiera e dolore. Ma prima, molto prima, avrebbe dovuto riconoscerlo chi invece ha chiuso gli occhi, e il cuore davanti a tante povere creature che al mare chiedevano poco, pochissimo. Solo la speranza di poter accarezzare un sogno di libertà.

Lo spazio dedicato ai migranti morti in mare - dondonsar

Un libro senza parole
La solidarietà, l’accoglienza passano anche attraverso segni solo in apparenza piccoli perché in realtà testimoniano in modo concreto la volontà di dialogare e di entrare in relazione. Va in questo senso il “welcome kit” cioè il kit di benvenuto frutto della collaborazione tra Mediterranean hope (progetto sulle migrazioni della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia) e la Biblioteca Ibby di Lampedusa, polo culturale dell’isola. Il progetto, pensato per bambine e bambini in movimento, si basa su di un silent book, cioè un libro senza parole, che dunque può essere letto a prescindere dalla lingua e dal grado di alfabetizzazione. Nello specifico il volumetto è stato illustrato dalla celebre Felicita Sala ed è pensato per essere colorato. Per questo il welcome kit prevede anche dei colori. Libro e colori sono messi dentro zainetti cuciti da un collettivo di donne tunisine e subsahariane riunite nel progetto FreeFemmes la cui attività sostiene iniziative di riscatto sociale e di promozione femminile. La diffusione di questi welcome kit può essere sostenuta con un apposito crowfunding e attraverso delle donazioni. L’obiettivo, infatti, è portarli su più navi possibili e in altre zone di frontiera.

Il libro senza parole pensato per l'accoglienza - dondonsar