Attualità

Inchiesta Nordest e migranti. A Gorizia nel girone dei disperati

Lucia Bellaspiga, inviata a Gorizia domenica 12 novembre 2017

La galleria Bombi, fino a qualche anno fa aperta al traffico, oggi è ricovero notturno di rifugiati. Lo stridore tra l’elegante Piazza della Vittoria in cui sbocca e il totale degrado

Gorizia, galleria Bombi, da agosto girone infernale di centoventi afghani e pachistani. Nel tunnel un tempo aperto al traffico e al rombo dei camion, oggi fin troppo enorme e silenzioso, di notte i nostri passi rimbombano. L’alito è bianco, a Gorizia il freddo non scherza, e nella luce livida dei neon sempre accesi centinaia di occhi ci osservano da sotto ammassi di coperte, chi sorride, chi saluta, chi guarda indifferente. Eppure c’è un ordine strano in tutto questo, quasi una disciplina, con i corpi perfettamente allineati lungo la corsia di destra, l’altra corsia libera per la pista ciclabile dei goriziani, che però qui non si addentrano più...

UN BUCO NERO TRA DUE MONDI
Perché la Bombi è come un buco nero nello spazio, se ci caschi dentro passi in un’altra dimensione, da una parte i terrestri, dall’altra quei marziani venuti da chissà dove, eppure così umani. Che ci fa una galleria nel cuore della città? Ve lo vedete un tunnel che sbocca in piazza Scala o al Colosseo? A Gorizia succede, sotto il colle del Castello: da una parte piazza della Vittoria, elegante, algida, austroungarica, dall’altra la sterpaglia a due minuti dalla Slovenia... «My name is Kashif», ci viene incontro uno dei pochi che non si è ancora coricato, tra le mani il cartone di una pizza calda che offre a chi incontra. È pachistano, ha 30 anni ed è arrivato cinque giorni fa dalla Germania, dov’era elettricista. Poi il permesso che scade, l’espulsione e il ritorno in Italia, perché il Trattato di Dublino prevede che i richiedenti asilo debbano restare nel primo Paese in cui gli sono state prese impronte e generalità: quasi per tutti l’Italia. Li chiamano «i dublinanti», categoria sospesa in un limbo di attesa, speranza, rassegnazione, condannati a un’Italia che non desiderano, protèsi a un’Europa che non è l’Eldorado per cui erano partiti. «Sono arrivato in taxi da Monaco», racconta Kashif, in realtà sull’auto di un passeur in cambio di 300 euro, perché i dublinanti sono anche un business.

TRA SCABBIA E POLMONITI
Non c’è acqua, in galleria, impossibile lavarsi o sciacquare vestiti inamidati dallo sporco, e invano i volontari chiedono al Comune docce e bagni chimici «lato Slovenia », dove i disperati cercano tra i cespugli un minimo di isolamento e pudore. «Ho fatto dieci anni di Uganda come medico del Cuamm, poi Sudan, Mozambico, Zambia, ma qui ho scoperto un mondo che non immaginavo – sfoga la sua rabbia Giannino Busato, oggi in pensione, ex primario di anestesia e rianimazione, ogni sera in galleria con sua moglie Sonia Ardit a curare piaghe, scabbia, polmoniti –. Un conto è la povertà, qui è miseria. In Africa l’indifferenza non l’avevo vista». Perché a parte i volontari, Gorizia vive senza vedere, anche se quel buco nero si spalanca sulla candida piazza che per paradosso dà proprio sul palazzo austriaco della Prefettura.

LE NOTTI DEI VOLONTARI
La signora Rita, 80 anni, in passato rosticciera, quando è di turno porta pentoloni di riso, uova sode e bevande calde, mentre Roberto De Vitor organizza ordine e pulizia: ogni venti metri una scatola di cartone, e i migranti vi buttano piatti di carta e posate, per terra non resta una briciola. Maria Vinti, «67 anni e sette nipoti», non salta un turno, come Orietta, 47 anni, e suo marito Silvano Gaggioli, presidente del locale Ordine degli avvocati. «È chiaro che tutto questo non è giusto, nessuno di noi vuole che questa gente venga qui – ammette Gaggioli –, ma l’immigrazione è un problema enorme che va risolto dagli Stati. A noi tocca non far dormire come le bestie le persone. I miei cani vivono sicuramente meglio di questi uomini ». A Gorizia ha sbocco la rotta balcanica, quella che fino al 2015 riversava migliaia di migranti, ma dall’accordo dell’Europa con la Turchia di Erdogan li lascia passare col contagocce, gli ultimi due l’altra sera, «le ossa rotte dalla polizia bulgara, uno con un occhio appeso fuori dall’orbita ». E sempre a Gorizia ha sede l’unica Commissione prefettizia che valuta per tutto il Triveneto le richieste di asilo e decide per l’ok o l’espulsione: per questo quattrocento tra afghani, pachistani e 'dublinanti' respinti dal resto d’Europa attendono da mesi in città, la gran parte accolti nelle strutture che solo la Chiesa ha messo a disposizione in convenzione con la prefettura, gli altri in galleria, ultimi tra gli ultimi.

LA PASIONARIA E LA «GIUNGLA»
Volontari da una parte, cittadini dall’altra, insomma, ma su una cosa sono tutti d’accordo: così non si può andare avanti, non è dignitoso per Gorizia e non lo è per i migranti. Poi c’è chi si gira dall’altra parte e chi invece porta coperte e medicine. «Per legge il sindaco ha il dovere di tutelare sanità pubblica e decoro, e quello che accade in galleria non è né l’uno né l’altro», denuncia Ilaria Cecot, assessore provinciale al Welfare quando esisteva una Provincia, abolita nel 2016. Rodolfo Ziberna, il sindaco straeletto a giugno nelle file di Forza Italia, la chiama la Pasionaria, epiteto che lei accoglie con entusiasmo: «Sono agnostica, ma come Paolo VI credo che non si dà per carità ciò che è dovuto per giustizia». Era stata lei nel 2014 la prima a scendere sulle rive dell’Isonzo, quando i migranti della rotta balcanica si accamparono sul greto, presto ridotto a una plaga malsana e ribattezzato 'Jungle', la giungla: «Sul 'fiume sacro alla Patria' c’era pericolo di epidemie, mancava l’acqua potabile, chiamai il prefetto che mi disse: so tutto ma non so cosa fare. Non sarò credente ma vivo il Vangelo – continua la Pasionaria –. Nel settembre 2014 il Papa era venuto al Sacrario di Redupuglia e nell’occasione aveva citato un passo di Matteo, quello che dice 'ero straniero e mi hai accolto', e aggiunse 'a me deve importare di ciò che succede a mio fratello'. Per questo allestimmo una tendopoli che chiamai 'Campo Francesco-A noi importa', insieme a don Paolo Zuttion, direttore della Caritas diocesana, che come fa un uomo di Chiesa ogni giorno portava conforto e cibo per tutti»... Dopo 40 giorni, le tende furono smontate, «giustamente» ammette Ilaria Cecot, perché «l’immigrazione non compete alla Provincia e la nostra era stata una forzatura bella e buona. Di cui vado fiera». Anche a lei è chiaro che soccorrere è doveroso ma non è la soluzione, «se non metti a sistema non risolvi. Basterebbe aderire tutti alla rete Sprar, l’accordo tra Comuni e ministero degli Interni per cui ogni città accoglie 2,5 stranieri ogni mille abitanti. Invece solo metà dei Comuni del Goriziano hanno aderito », e tra questi non c’è Gorizia, cui a conti fatti toccherebbero 90 richiedenti asilo (2,5 ogni mille dei suoi 35mila abitanti).

PUGNO DURO E PIANO MARSHALL
Che però – ribatte il sindaco Ziberna – attualmente sono più di 400, «e se in teoria entrando nella rete Sprar avremmo solo i nostri 90 e non uno di più, poi sappiamo tutti che non è vero». Anche Ziberna ripete che «così non si può andare avanti» ma giudica i volontari in galleria «una iattura» e accusa: «Secondo lei un immigrato che sta in Olanda o in Belgio sa dov’è Gorizia? Perché allora arrivano qui a centinaia? Esistono vere e proprie 'agenzie' che spostano queste persone, ormai sanno che nella galleria c’è cibo gratis per tutti. Ma questa è accoglienza? Tra poco ne avremo il doppio, l’Europa non dà asilo politico ai pachistani perché, a differenza degli afghani, non scappano da un Paese in guerra, solo l’Italia lo fa». Poi contropropone: «Con una sola Commissione prefettizia questi poveretti attendono anche 15 mesi una risposta, quindi ho chiesto al ministro dell’Interno Minniti di raddoppiare le Commissioni e spostarle a Trieste e Udine: quando avverrà, la galleria si svuoterà. Resteranno gli altri 260 nelle strutture convenzionate e andrà bene così: Gorizia non fa storie sul numero ma su chi ingenera l’errato convincimento che chiunque si può accampare, tanto c’è chi lo mantiene». Infine rilancia: «Ho chiesto anche qui un 'Ufficio Dublino' come a Roma, preposto al respingimento di chi aveva dato impronte e generalità in Germania, Francia, Austria... E propongo un Piano Marshall dei Paesi ricchi a beneficio dei Paesi che generano emigrazione: basta lo 0,5% del Pil dei primi 30 Paesi del mondo. Oggi l’Italia spende per l’accoglienza 4 miliardi e 700 milioni, investiamoli invece in Africa». Di docce e bagni chimici, insomma, non se ne parla.

TRASLOCHI
«Conto invece che i giorni prossimi, prima del grande freddo, venga un pullman, carichi quelle persone e, come già avvenuto altre volte, le distribuisca altrove». Ovvero nel Cara della vicina Gradisca, che già esplode con quasi 700 ospiti in condizioni inumane e che – ha promesso il governo – a fine anno chiuderà. E allora che ne sarà dei 700? (1 - continua)

Migranti, Nordest al bivio tra chiusura e integrazione: 3 storia dalla provincia di Gorizia (2 - fine)