L'iniziativa. I giovani italiani in sci a Davos per chiedere un altro clima
Hanno già scarponi e sci pronti. Fra due settimane partiranno da Sondrio e su è giù per le Alpi, lungo le piste innevate e i passi più impervi raggiungeranno Davos, in Svizzera, in tempo per il World economic forum, in programma dal 21 al 23 gennaio. Giovanni, Luca, Michele, Raffaele e Marco sono cinque amici con in comune la passione per la montagna.
Quella montagna con i suoi ghiacciai che, per colpa delle emissioni inquinanti e del cambiamento climatico rischia di essere solo un bel ricordo quando i loro figli saranno adulti. Una spedizione tutta italiana, uno 'skitour sostenibile' a impatto zero. Per dimostrare ai grandi 'inquinatori' che si può e si deve cambiare. Per chiedere ai più importanti Ceo (amministratori delegati, ndr), come ogni anno, riuniti nella famosa località elvetica, di non badare più solo ai profitti ma ripensare al modello di business che rispetti il pianeta. «Il 2020 sarà l’anno dell’azione » spiega Giovanni Montagnani, 32 anni di Varese. Ingegnere e attivista dei Fridays for future, è lui il promotore della spedizione verde tutta italiana. «Abbiamo deciso che nel 2020 ognuno di noi farà un’azione dimostrativa, nella formula che preferisce».
Parola d’ordine: attivismo. Dagli scioperi dei venerdì a quelli globali dei giovani che si rifanno alla sedicenne svedese Greta Thunberg, l’anno nuovo, assicurano, sarà all’insegna dell’azione. Un attivismo che può anche solo includere una maggiore attenzione agli acquisti o a come ci si sposta o a quello che si decide di mangiare.
«In base all’ultimo report dell’Ipcc (il gruppo di scienziati dell’Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, ndr) ogni abitante del pianeta ha a disposizione tra le 100 e le 200 tonnellate di carbonio, per far sì che la temperatura non salga oltre i due gradi. Esaurito quel budget sarà impossibile contenere l’aumento».
Giovanni da tempo ha deciso di non prendere più l’aereo. Ha un’auto elettrica e si sposta in bicicletta. «Basta fermarsi a riflettere davanti a una fiorentina o a una pizza e pensare alle rispettive Carbon foot print (l’impatto/impronta delle emissioni necessarie per produrle)». «L’impronta della nostra vita occidentale è ormai totalmente incompatibile con la nostra stessa esistenza sulla terra. È urgente quindi cambiare il nostro stile di vita» aggiunge il giovane ingegnere.
«Chi frequenta la montagna come noi – aggiunge - tocca con mano il collasso ambientale. Quello che sta succedendo è tutto sotto i nostri occhi. Ogni anno vediamo pezzi di ghiacciaio che scompaiono. Ecco perché abbiamo deciso di andare a Davos, con gli sci». In autosufficienza, con sci di fondo e attrezzatura da alpinismo, «attraverseremo 2 valli per per un totale di circa 80 chilometri e 3.500 metri di ascensione » spiega l’ingegnere . Giovanni e i suoi amici vogliono urlare ai grandi Ceo del pianeta che «non va per nulla bene ». Raccontare a «chi vive di riunioni e viaggi quello che sta succedendo al nostro pianeta, che dobbiamo mettere in gioco il nostro status quo per garantire il futuro delle prossime generazioni».
A Davos i cinque amici si uniranno alla protesta dei giovani (e meno giovani) che sono rimasti delusi dalla Cop 25 di Madrid e ora puntano il dito contro i 'big' dell’industria che tirano dritto, col solo obiettivo di cumulare profitto. A Davos, l’onda verde ambientalista protesterà in particolare contro il cosidetto ' greenwashing' delle multinazionali. La moda, cioè, 'che pervade la nuova strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi'.
«Gli amministratori delegati che si incontreranno a Davos – conclude Giovanni – non pensano ai giovani e ai nostri figli. Non pensano al nostro futuro ».