Trenta giorni dopo la tragedia. A Cutro cento morti, il dolore e le domande
Un mese dopo il naufragio davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro, il mare continua a restituire i corpi delle povere vittime a bordo del caicco turco Summer Love. Ieri, è toccato a quello di un uomo adulto, il novantesimo essere umano ad aver perso la vita in quella livida alba del 26 febbraio scorso. Un mese dopo, le due inchieste parallele avviate dalla procura di Crotone, una a carico dei presunti scafisti e l’altra sulla macchina dei soccorsi, procedono a piccoli passi. Un mese dopo, sul parquet del PalaMilone di Crotone ci sono ancora tre piccole bare bianche senza nome. Tre bambini ai quali non è stato possibile associare una identità: con loro, i cadaveri da identificare restano 6. Un mese dopo, gli 81 superstiti e i familiari continuano a piangere i loro cari, annegati in una notte buia di mare in tempesta, quando già intravedevano la riva. Un mese dopo, i dispersi da ritrovare, racconta il commissario capo dell’Ufficio immigrazione della Questura crotonese Alberto Sciortino, sono ancora «almeno dieci, fra cui altri 6 minori». Cento morti, dunque, fra cui 34 minori, molti sotto i 12 anni, alcuni ancora vestiti con fasce e tutine, con giocattoli messi loro in mano dalle mamme e ritrovati poi sulla spiaggia, muti testimoni della tragedia appena consumata. Uomini, donne e bambini in fuga da guerre e persecuzioni, da regimi autoritari e discriminazioni, che cercavano in Europa una vita libera e serena. Nessuno, su questo tratto di costa ionica calabrese dove altri barconi carichi di migranti continuano ad approdare, li dimenticherà.
Monumenti, arte e preghiere «Alla memoria dei morti ed ai sopravvissuti sia dedicato ogni giorno un nostro pensiero ed un nostro atto di amore». Inizia così l’iscrizione sul monumento dedicato al naufragio, inaugurato a Steccato dal sindaco di Cutro, Antonio Ceraso e dalla sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro, in presenza di due migranti sopravvissuti al naufragio. «Questo monumento », dice Ceraso, «significa che noi i riflettori non li abbasseremo mai». Stasera, la diocesi di Cassano all’Jonio ha organizzato una via Crucis fra Lauropoli, Morano e Trebisacce alla quale prenderà parte il vescovo Francesco Savino, vicepresidente della Cei. Mentre la spiaggia di Steccato si trasformerà nel palcoscenico di un’opera artistica collettiva, allestita dal regista Giancarlo Cauteruccio, nel cui titolo (« Arithmos – kr46m0, kr14f9) figurano i numeri di serie posti su due delle piccole bare bianche con le spoglie di due bimbi non identificati. «Una chiamata alle arti» per rispondere «all’appello di quella umanità che arriva dal mare, alla ricerca incessante di pace, giustizia, libertà e pane».
Il monumento dedicato alla memoria delle vittime e dei sopravvissuti del naufragio inaugurato ieri a Cutro - .
«Dolore e speranza» «Sono arrivata a Crotone in momento difficile, in cui dolore e speranza si accomunavano », osserva la nuova prefetta di Crotone, Franca Ferraro. «Vorrei restituire alla città il Palamilone entro martedì. Dobbiamo aspettare che partano le salme per estero e poi trasferiremo nel vecchio cimitero di Cutro i deceduti non reclamati e gli altri eventuali cadaveri dei dispersi che verranno recuperati».
Due inchieste e tre esposti Sul naufragio indaga per competenza territoriale la procura di Crotone, con una duplice inchiesta parallela: la prima per omicidio, naufragio colposo e favoreggiamento di immigrazione clandestina, a carico di 4 presunti scafisti; la seconda sul funzionamento della macchina dei soccorsi (senza indagati e senza ipotesi di reato, al momento). Poi ci sono almeno tre esposti. Uno è stato presentato da un gruppo di parlamentari di Avs davanti alla Procura di Roma. Un secondo è giunto alla procura di Crotone da parte di 40 enti, ong e associazioni impegnate nei salvataggi e nel sostegno ai migranti, per chiedere di essere ammesse come parti civili in un eventuale processo. Un terzo esposto è stato indirizzato al procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri da un alto magistrato in quiescenza, Rosario Russo, già sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Nell’atto, Russo chiede alla procura distrettuale calabrese di dissipare i dubbi sulla condotta della catena di comando dei soccorsi - che vede al vertice politico i ministri dei Trasporti Matteo Salvini e dell’Interno Matteo Piantedosi - alla luce dell’articolo 96 della Carta e della legge costituzionale del 1989 (che regolano la competenza del tribunale dei ministri su reati compiuti durante l’esercizio delle funzioni ministeriali). Spetta al procuratore Gratteri valutare se nei fatti segnalati si ravvisi omissione di soccorso o altre ipotesi di reato e se avviare o meno la procedura che potrebbe portare a mettere sotto inchiesta i vertici dei due ministeri.
La rete afghana e quei soldi incassati dopo la strage A Crotone, i magistrati continuano nella paziente opera di ricostruzione dei fatti, ascoltando come testimoni i sopravvissuti all’affondamento. A bordo c’erano circa 180 persone. Per salire sul caicco, avrebbero versato 8mila euro per adulto e 4mila per ogni minore. Fra gli 81 sopravvissuti, ci sono diversi afghani, pakistani, iraniani, che già nelle prime ore avevano riferito della navigazione degli scafisti per arrivare non visti lungo quel tratto di costa e del fatto che avessero uno jammer, un dispositivo per inibire le chiamate dei cellulari, che avrebbe impedito di far partire degli sos telefonici prima del naufragio. Alcuni testimoni vengono sentiti in questi giorni nell’incidente probatorio fissato nel procedimento a carico dei quattro presunti scafisti (tre arrestati poco dopo, un quatro rintracciato in Austria, mentre un quinto è annegato). Fra loro c’è un 17enne pakistano che afferma di essere innocente e dice di aver pagato, come altri, migliaia di euro per la traversata dal porto turco di Smirne fino in Calabria. Ma i quattro, anche se alla fine venissero riconosciuti colpevoli Le testimonianze starebbero fornendo elementi per ricostruire una delle filiere di trafficanti dietro all’organizzazione dei viaggi da quell’area. Un teste iraniano avrebbe spiegato agli investigatori di aver pagato somme di denaro a trafficanti di Kabul. L’uomo ha raccontato di essere fuggito dall’Iran due anni prima e di essere rimasto poi in Turchia fino alla partenza per l’Italia. Come altri superstiti, ha detto di aver pagato una somma pari a « 8.300 euro». L’importo era vincolato: quando i migranti sarebbero giunti a destinazione, i trafficanti li avrebbero incassati , usando la rete di pagamenti detta hawala, che si serve spesso dei money transfer. Una volta appreso della tragedia dai media internazionali e dal web, i trafficanti avrebbero cercato di capire, guardando immagini e foto fatte dai familiari, chi era sopravvissuto, per poter incassare le somme contrattate. Un’altra rete invece avrebbe contatti fra il Pakistan, la Turchia e la Gran Bretagna. Intervistato da Avvenire e da Repubblica, Sabir Muhammad Ahsan, pachistano in Italia da cinque anni racconta di aver perso nel naufragio l’amato nipote, il 14enne di Peshawar Azan Afridi, ma di aver conservato sul proprio cellulare i dati dei pagamenti effettuati dalla famiglia per circa 9mila euro, con «nome, cognome, ricevute» e con «la foto di una carta di credito» sui cui è stato versato denaro. Parla di trasferimenti di denaro anche verso l’Inghilterra, poi rigirati a persone che stavano in Turchia «per far mangiare mio nipote, che non aveva sibo, prima del viaggio. Ora vuole «denunciare quegli uomini, non ho paura, avevano garantito che il viaggio di mio nipote sarebbe stato sicuro, non su una vecchia barca con tante persone». Ad assistere gratuitamente diversi sopravvissuti e parenti delle vittime è un pool di avvocati crotonesi, Francesco Verri, Luigi Ligotti, Mitia Gialuz e Vincenzo Cardone, che stanno raccogliendo i verbali e verificando a loro volta i fatti. Fra i tanti misteri da accertare, uno riguarda uno «zaino nero» in cui uno degli scafisti avrebbe tenuto i soldi versati, con dentro «un milione di euro», secondo un testimone. Quello zaino non sarebbe fra gli oggetti sequestrati dopo lo sbarco. Finito in mare? Portato via da un presunto trafficante? Gli
interrogativi sui soccorsi Responsabilità dei trafficanti a parte, la procura di Crotone lavora anche per accertare se ci siano state omissioni, errori o sottovalutazioni nell’adempimento dei doveri e delle attività di soccorso. Quali procedure e quali protocolli seguirono la Guardia di Finanza e la Guardia costiera, fra le 23.03 di sabato 25 febbraio e le 4. 10 di domenica 26? Quali comunicazioni intercorsero fra i due corpi dopo la prima segnalazione dell’aereo di Frontex del caicco in navigazione verso le coste calabresi? Quando la Finanza assunse le decisione di rientrare per il mare forza 4, perché la Guardia costiera non usci alla ricerca del barcone segnalato? Repubblica ha rivelato l’esistenza di un appunto dell'ufficiale di turno della Gdf nella sala operativa di Vibo Valentia con un’annotazione («natante con migranti ») poi non comparsa in un verbale redatto dopo il naufragio dalla sezione operativa navale crotonese delle Fiamme gialle. Uno dei punti, l’ennesimo, da chiarire per dissipare ogni ombra, anche la più piccola, su ciò che accadde in quelle cinque ore. Le urla strazianti dei familiari delle cento vittime, le lacrime su quelle piccole bare bianche nel Pala-Milone esigono che sul naufragio del 26 febbraio si facciano «giustizia e verità».