Unicef. 6.500 bambini scomparsi nel 2016. Europarlamento: prendere le impronte digitali
Un bambino proveniente dall’Eritrea è ospitato nel centro CARA a Mineo in Sicilia. Il campo ospita circa 3000 persone richiedenti asilo politico. (Foto UNICEF)
Arrivano soli sulle nostre coste e poi spariscono, rischiano di essere esposti a tratta, a violenze e sfruttamento. Sono i minori irreperibili o "sperduti" come li definisce l'Unicef nel rapporto denuncia che ha diffuso: 6.561 bambini e ragazzi "invisibili" nel 2016. Si tratta di un dato in aumento e "allarmante", se si pensa che nel 2012 erano 1.754 i bambini irreperibili, mentre oggi si sono "quintuplicati".
Sebbene i numeri non siano tutto e spesso non mostrino il dramma personale, queste cifre preoccupanti hanno spinto il Parlamento europeo a mettere sul tavolo della Commissione Libertà pubbliche la proposta di prendere le impronte digitali dei bambini a partire dai 6 anni (ora lo si fa a 14 anni di età, ndr). Obiettivo? Non perderne le tracce e facilitarne i ricongiungimenti con le famiglie. E ancora, proteggerli da trafficanti e sfruttatori.
Cosa chiede l'Europarlamento per la protezione dei bambini "sperduti"
La commissione Libertà pubbliche ha anche chiesto che i minori che fuggono dai centri di accoglienza siano segnalati nel database Schengen Information System (SIS) come persone scomparse. Per contro, contrariamente a quanto proposto dalla Commissione, secondo l'Europarlamento la detenzione dei minori dovrebbe essere vietata. "Abbassare l'età per prendere i dati biometrici da 14 a 6 anni porterà a più protezione per i minori non accompagnato, evitando che siano vittime di traffici e sfruttamento", ha spiegato la relatrice, l'eurodeputata rumena Monica Macovei.
Tra le altre misure proposte dall'Europarlamento, l'inserimento delle immagini facciali, dei nomi e dei numeri di carta di identità nel database Eurodac.
L'allarme dell'Unicef: 6.500 bambini spariti nel 2016
Nel 2016 i bambini sbarcati sulle coste italiane hanno raggiunto un numero record: 28.223 su un totale di 181.436 persone sbarcate, un dato che supera quello registrato nel 2014, anno dell’operazione umanitaria Mare Nostrum. Secondo il dossier dell'Unicef in tutto il mondo, un minorenne su 70 vive al di fuori del Paese di nascita. La metà dei bambini migranti di tutto il mondo vive in soli 15 Paesi, in testa alla classifica gli Stati Uniti, che ospitano 3,7 milioni di bambini. L'Italia è al 20esimo posto, con 400mila minorenni. Nel nostro Paese nel 2015 erano stati identificati 12.360 minorenni non accompagnati, pari al 75% di tutti i minorenni sbarcati, mentre nel 2016 si sono avute 25.846 identificazioni, pari al 92% dei minorenni sbarcati nel periodo compreso tra il 2013 e il 2015, i paesi di provenienza che incidono maggiormente sul totale degli arrivi di minorenni in Italia sono: Siria, Eritrea, Egitto e Somalia. Al mese di ottobre del 2016 i minorenni stranieri non accompagnati che hanno presentato una domanda d'asilo in Italia sono stati 4.168, ovvero il 48,3% dei minorenni (accompagnati e non) e il 4,2% rispetto al totale (adulti + minorenni) dei richiedenti asilo.Da dove arrivano i minori "sperduti"
"Provengono per lo più da Asia e Africa subsahariana per cause molto diverse, ma devono comunque essere protetti e integrati" afferma Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia in un'intervista alla Radio Vaticana. Siria, Egitto, Eritrea e Somalia sono i Paesi di origine a cui "oggi a queste nazionalità si sono aggiunte anche il Gambia e il Mali, quindi gran parte comunque dall'Africa subsahariana e dall'Asia. Le fughe di questi bambini sono di vario genere - spiega ancora Iacomini -. Sono figli magari di famiglie di ceto medio ma in difficoltà e che rischia di impoverirsi, e per questo i genitori decidono di far scappare questi bambini. Ma la gran parte fugge da carestie enormi. Oppure, altre cause… Dalle guerre: pensiamo alla guerra che affligge il Sud Sudan da 4 anni. Pensiamo alla gran parte di popolazione, due milioni e mezzo che si trovano in Chad. Quindi le cause sono molteplici, sono di carattere economico ma sono legate soprattutto alla fame, alla povertà e naturalmente a quelle guerre, alle quali spesso noi non siamo riusciti a porre fine".