Il fatto dell'anno. 1988 - 16 anni dopo l'omicidio Calabresi l'arresto di Sofri
Umberto Folenamercoledì 27 giugno 2018
Il processo a Sofri, Bompressi e Pietrostefani basato sulla testimonianza di Marino
«Era a Varsavia, lo scorso anno...». La ricostruzione dell’arresto di Adriano Sofri ed ex compagni, con l’accusa di aver organizzato l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, può cominciare dal racconto – vero perché sofferto, credibile perché privo di facili certezze, serio perché senza teoremi a cui piegare i dubbi – di Luigi Geninazzi.La notizia scoppia il 29 luglio 1988, un venerdì di sole e spiagge. «Lotta continua, il conto. Clamorosa svolta nelle indagini: arrestate quattro persone. Dopo 16 anni l’ex leader Sofri accusato del delitto Calabresi». La cronaca in prima pagina è firmata da Piero Piccioli. «E nella sinistra – è il titolo del pezzo d’appoggio – cala il silenzio». Il breve pezzo senza firma spiega: «I magistrati milanesi non sono magistrati d’assalto e l’unico che se la sente di gridare da subito è il senatore verde Marco Boato». Boato sarà il difensore più convinto di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, da subito. Mai crederà al pentito Marino: «È un’incredibile montatura» dice l’ex Lc a Luigi Geninazzi.Geninazzi, appunto. Quello stesso giorno, a pagina 3, racconta come ha conosciuto il "piccolo Lenin". La sua testimonianza vale una citazione lunga, tutta la leggere. «Con la sua perenne aria da ragazzino impertinente, si era messo da solo ad applaudire in mezzo alla folla. Era a Varsavia lo scorso anno, passava una delegazione di operai dei cantieri Lenin di Danzica e Adriano Sofri, accanto a me, si spellava le mani per gli applausi: "Sono loro, questi polacchi, la parte migliore di quel che è sempre stato il nostro ideale" mi disse. Al contrario di molti operaisti ottusi dell’estrema sinistra Sofri aveva cambiato molte delle sue idee leniniste di fronte a quanto avvenne in Polonia a partire dal 1980. Con la sua intelligenza autoironica aveva avuto allora, come in altre occasioni, la capacità di stupirsi. Non ha mai amato parlare del suo passato, preferiva guardare avanti, teso a una ricerca che aveva un carattere religioso. Così l’ho conosciuto in questi anni e gli sono diventato amico. E ora, come in un incubo che si vorrebbe svanisse con le luci dell’alba, torna fuori l’Adriano Sofri leader storico di Lotta continua, le sue lucide e inquietanti analisi dei primi anni Settanta, il teorico della "violenza di massa" delle avanguardie rivoluzionarie (...). Dopo 16 anni, che per la generazione del ’68 appaiono un secolo, ci si ripresenta la figura del piccolo Lenin di Pisa che infiammava le assemblee studentesche della Normale».
La ricostruzione è lunga e godibilissima, impossibile purtroppo riportarla per intero. A un certo punto Geninazzi domanda: «Adriano Sofri un assassino? Istintivamente mi rifiuto di crederlo». Ma: «Poi, di colpo, torna l’incubo dei primi anni Settanta, rivedo come in un sogno i katanga della Statale di Milano, i cortei di Lotta continua e di Potere operaio al grido di "Calabresi assassino", rileggo l’assurdo e allucinante commento che il 19 maggio 1972, all’indomani dell’omicidio del commissario di Milano, scrisse il quotidiano Lotta continua: Calabresi era un assassino» e l’omicidio è «un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia».Geninazzi sospende il giudizio. Non così Maurizio Blondet. Il 2 agosto (pagina 4) ricostruisce il clima di violenza di «quegli anni atroci» e scrive: «Sono piagnistei ripugnanti le voci anche autorevoli (a cui speriamo non si uniscano quelle di cattolici) che oggi, a difesa di Sofri, sostengono che le accuse che lo riguardano sono "inverosimili". La confessione del "pentito" che accusa Sofri non ha niente di inverosimile». Il movente? Le Br "rubavano" militanti a Lc che avrebbe quindi organizzato l’omicidio: «Un commissario di polizia fu ucciso per questioni di lercia bottega "politica" di "concorrenza"».Blondet interverrà ancora, in particolare con una polemica con Antonello Trombadori (Pci). Intanto Avvenire con Francesco Anfossi informa sugli sviluppi dell’indagine, con gli interrogatori in cui gli accusati negano ogni addebito. Piero Piccioli rintraccia in Sicilia Mauro Rostagno («Non c’entro niente»). Gabriella Pesenti raccoglie gli sfoghi di Marco Boato.Dopo una lunga vicenda giudiziaria, nel 1997 Sofri, Bompressi e Pietrostefani sono condannati in via definitiva a 22 anni di carcere; Marino a 11, prescritti. Adriano Sofri fu posto in semilibertà nel 2005, quindi ai domiciliari per gravi motivi di salute ed è stato scarcerato definitivamente nel 2012, dopo aver scontato 15 anni. Bompressi in carcere si ammalò di depressione e anoressia, perdendo in un anno 13 chili; sarà graziato nel 2006. Pietrostefani è latitante in Francia e potrà tornare in Italia solo nel 2027, quando scatterà la prescrizione.