Attualità

Il fatto dell'anno. 1993 - Scacco matto a Cosa Nostra. Riina arrestato dai carabinieri

Umberto Folena mercoledì 1 agosto 2018

I carabinieri arrestano Salvatore (Totò) Riina il 15 gennaio 1993 (Ansa)

Sorpresa, soddisfazione, esultanza. Il 16 gennaio 1993 la prima pagina di Avvenire dà un annuncio atteso da un quarto di secolo: «Scacco matto al re di Cosa Nostra. Catturato Totò Riina, latitante da venticinque anni. Storica operazione antimafia dei nuclei speciali dopo mesi di indagini». A pagina 3 l’inviato Giovanni Ruggiero racconta l’inchiesta: «Il generale Giorgio Cancelleri, che comanda l’Arma in Sicilia, dà l’annuncio. I toni sembrano quelli di un proclama. Annuncio di vittoria». Quel che vien fatto trapelare è poco, l’operazione è ancora in corso, ma quel poco è indicativo di come il boss sia stato colto di sorpresa: «Riina era così sicuro di sé, in questa sua Palermo, da non girare neppure armato. Disarmato anche il suo autista». I Ros hanno fatto tutto da soli, senza imbeccate dei pentiti.

Nelle quattro pagine interne il legittimo entusiasmo viene un poco stemperato. Ma in prima Francesco Mario Agnoli, magistrato, non nasconde la gioia: «Certamente è troppo presto per dichiarare conclusa la guerra e forse anche per ritenere certa la vittoria finale, ma senza dubbio il desiderio di gridare e di abbandonarsi all’esultanza è grande. La cattura del fino a oggi imprendibile Totò Riina non ha forse equivalenti di eguale peso ed importanza nemmeno negli episodi più eclatanti della lotta al terrorismo». È la fine, conclude Agnoli, del mito dell’invincibilità della mafia.

In quattro pagine interne, quel 16 gennaio, Avvenire ripercorre «la fulminante carriera del delfino di Liggio, ’u Curtu, re dei Corleonesi» (Giuseppe Vecchio). Pino Ciociola racconta la storia giudiziaria della «belva, come lo chiamano i pentiti», a cui sono attribuiti almeno un centinaio di delitti. «Un’abominevole bestia» è ciò che di lui dicono i pentiti (Luigi Losa). È ancora Ciociola a riferire della conferenza stampa al Viminale (titolo: «In nome di Falcone e Borsellino»). Il ministro dell’Interno, Nicola Mancino, ovviamente è contento, ma avverte: «Adesso nessuno si illuda che l’offensiva contro la mafia sia esaurita». Scrive Ciociola: «La Belva è in gabbia. E non è finita qui. Erano almeno tre mesi che gli davano una caccia spietata. Lo braccavano. Un gruppo di uomini aveva un obiettivo solo: prendere Riina. "Se lo sognavano anche la notte", ha detto Viesti (Antonio Viesti, comandante dei Carabinieri, ndr)».

Anche gli approfondimenti uniscono soddisfazione a prudenza. Maurizio Blondet intervista padre Bartolomeo Sorge, fondatore a Palermo del Centro Padre Arrupe. Il gesuita parla di recenti segnali positivi: «Da due anni la presenza dello Stato in Sicilia è molto più evidente». Ma soprattutto pone l’accento sui cambiamenti tra i palermitani, sulla «rivolta morale della gente, e in particolare dei giovani siciliani; e la presenza forte della Chiesa (…). Credo che la collusione politico-mafiosa sia entrata effettivamente in crisi». La gente, appunto: «Prima, la mafia poteva uccidere e taglieggiare senza che la gente protestasse. Da qualche tempo, e per la prima volta, ogni delitto mafioso è stato accolto da proteste popolari». Eppure, avverte Sorge, «non illudiamoci troppo. Può darsi che la mafia sia già ora in grado di compensare la perdita di Riina. La mafia ha molte risorse, e non intendo soltanto finanziarie. La Piovra ha davvero mille tentacoli, e avergliene amputato uno, pure importante, non significa necessariamente averla vinta».

Man mano che si procede da pagina 1 a pagina 5, il quadro si è fatto via via sempre più realistico. Il giorno dopo, 17 gennaio, da più parti cominciano a fioccare i soliti inviti a eliminare fisicamente il mostro. Gianfranco Marcelli intervista il ministro Mancino: «La pena di morte per Riina? Questi mi sembrano gli eccessi tipici di quelle persone che non riescono mai a realizzare nel proprio animo il necessario equilibrio. Il nostro obiettivo non è di ammazzare la gente, ma di stroncare la piovra e la sua capacità di uccidere». In breve, Avvenire riporta le parole di Tommaso Buscetta in un’intervista concessa a Enzo Biagi: «È il primo miracolo del 1993 (…). Lei deve aiutarmi, deve dirlo che non bisogna cantare vittoria, abbassare la guardia. La guerra sarà ancora lunga».

Prudenza, quindi. Ma anche legittima soddisfazione di fronte a una effettiva vittoria. Anche il misurato Giuseppe Anzani, a modo suo, ossia con compostezza, esulta: «La cattura del boss numero uno della cupola è una vittoria delle legge non perché consegna l’ergastolano latitante ai ceppi della punizione, ma perché dimostra che è possibile raggiungere, dentro la segreta cittadella mafiosa, punti che sembravano inaccessibili e inespugnabili. La cattura di Totò Riina ha in sé qualcosa di simbolico».
Manca soltanto l’arcivescovo di Palermo, il cardinale Salvatore Pappalardo. Giovanni Ruggiero lo intervista il 19 gennaio. E sono le parole di un pastore: «Ai mafiosi la Chiesa dice di trovare in se stessi il punto di partenza per una conversione personale, che deve essere spirituale».

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