Attualità

L'analisi. I temi identitari, il rischio astensionismo: l'Europa si prepara al voto

Andrea Lavazza lunedì 11 marzo 2024

Il Parlamento europeo

Si dice che non siamo fatti per vivere in grandi gruppi. Secondo il numero di Dunbar, dal nome dello studioso che l’ha proposto, possiamo gestire non più di 150 amici. Retaggio della nostra lunga storia, ma anche realtà dei nostri giorni. Siamo sempre più in contatto istantaneo con il mondo, ma questa caduta delle separazioni finisce con lo spaventarci. E farci rimpiangere le comunità più piccole e omogenee in cui vivevano i nostri genitori o i nostri nonni. Forse è un punto di vista un po’ eccentrico, ma certamente coglie un elemento chiave delle prossime elezioni europee, che dal 6 al 9 giugno chiameranno alle urne i cittadini dei 27 Stati membri per rinnovare il Parlamento e, a cascata, dare l’indicazione anche per la nuova Commissione.

La classiche divisioni tra grandi famiglie o partiti politici pesano molto meno che in passato, il voto è fluido e segue i leader che si impongono nel momento sulla scena. Ma, soprattutto, sono alcuni temi identitari a segnare le divisioni principali. Un tempo erano i diversi modelli socio-economici e i riferimenti alla religione a segnare le fratture. Oggi, l’immigrazione, la sovranità nazionale, le scelte in materia di protezione dell’ambiente infiammano almeno parte delle opinioni pubbliche. L’appuntamento per la selezioni dei 720 rappresentanti della decima legislatura (il primo voto si ebbe nel 1979) dovrebbe essere un momento cruciale della vita politica del Continente, stanti le due guerre al confine (sebbene rimanga la speranza che almeno quella in Medio Oriente si sia fermata nel frattempo) e il successivo voto per la Casa Bianca a novembre. Tra lo spettro di Putin e l’ombra di Trump, dare nuovo vigore alle istituzioni comunitarie dovrebbe essere una priorità condivisa.

Sappiamo però che le ultime chiamate ai seggi non hanno scaldato i 370 milioni di aventi diritto. Le previsioni, che sono anche una speranza, è che l’affluenza resti di almeno un decimale sopra il 50%, che significherebbe mobilitare 185 milioni di persone. Qualcuno ricorderà il vorticoso apparire di matite in un puntata del recente Festival di Sanremo. Era una modalità ideata daglu uffici dell’Europarlamento in Italia per invitare soprattutto i giovani a esprimere la propria preferenza sulla scheda, con il ben noto lapis copiativo. Dire che la posta in gioco è alta ricalca una stanca retorica che tutti condividono a parole e però non funziona più di tanto. Tutti capiamo l’importanza delle decisioni che vengono prese a Bruxelles e a Strasburgo e siamo interessati ai contenuti delle politiche. Il punto è che molti non credono nella rilevanza del proprio voto, sfiduciati come sono rispetto ai meccanismi di traduzione dei loro interessi nelle deliberazioni dei deputati e dei commissari.

La “crisi della democrazia”, che pure non è da sopravvalutare, colpisce gli organismi comunitari quanto i singoli Paesi. Eppure, all’avvicinarsi dell’appuntamento di giugno sembra manifestarsi con maggiore forza, perché si salda con le spinte euroscettiche e populiste che alimentano la ricerca di ricette alternative per gestire le emergenze che ci circondano. Quando le soluzioni necessarie sembrano essere quelle prese a livello globale o per lo meno continentale, si fanno largo spinte difensive che invocano meno poteri condivisi e più autonomia nazionale. Eppure, negli ultimi 5 anni l’Europa politica non ha dato cattiva prova di sé. Ha fatto fronte alla pandemia con iniziative comuni senza precedenti, sia sul versante sanitario sia su quello degli aiuti alle nazioni più colpite con lo strumento del Next Generation Ue, declinato in Italia con il Pnrr. Davanti all’invasione russa dell’Ucraina, ha accolto milioni di profughi, ha sostenuto la resistenza di Kiev ed è riuscita a cambiare fornitori energetici, sottraendosi al ricatto di Mosca.

Le politiche verdi, contro il cambiamento climatico, e blu, la regolazione dell’intelligenza artificiale, ci mettono all’avanguardia nel mondo. Molto di più, ovviamente, si può e si deve fare. Lo sperimentiamo con i trattori in piazza che contestano le politiche agricole e fanno compiere una brusca retromarcia ai leader comunitari. E lo vediamo con l’inefficacia della diplomazia di Bruxelles mentre in Medio Oriente muoiono migliaia di donne e bambini. L’Europa può diventare, più di quanto già lo sia, un faro per diritti e democrazia. Oltre che una risorsa indispensabile per la nostra sicurezza e la nostra prosperità. Per tutto questo il risultato delle prossime elezioni avrà un impatto che non si deve proprio sottovalutare.