Il caso. 8 per mille, Corte dei Conti fuori misura
Il meccanismo dell'8 per mille finisce di nuovo sotto la lente della Corte dei Conti. La magistratura contabile mette in fila una serie di «criticità» che registra nelle modalità di erogazione dei contributi alle confessioni religiose, per effetto delle libere determinazioni dei contribuenti nella dichiarazione dei redditi. I rilievi riguardano sia l'ammontare complessivo dei fondi sia la singola ripartizione, e toccano anche le campagne pubblicitarie, il controllo sulla gestione dei fondi e persino il ruolo di intermediazione dei Caf. La Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato prende di mira innanzitutto il meccanismo in base al quale ogni cittadino sarebbe «coinvolto, indipendentemente dalla propria volontà, con evidente vantaggio per le stesse confessioni religiose, dal momento che i soli optanti decidono per tutti». A parte che il mancato sostegno può essere comunque espresso attraverso l'opzione a vantaggio dello Stato, è evidente che a monte della previsione c'è una valutazione del legislatore nell'attribuire ai cittadini la facoltà di decidere quale debba essere la destinazione di una quota del bilancio statale. La Conferenza episcopale italiana, che era stata ascoltata insieme alle altre confessioni religiose lo scorso ottobre, nel promemoria inviato alla Corte dei Conti definisce l'8 per mille «un caso di democrazia nell'indirizzo della spesa pubblica che coinvolge anche il cittadino non praticante o, addirittura, non credente, il quale apprezza l'opera della Chiesa in Italia e intende che la collettività nazionale la riconosca e la sostenga, assegnandole una quota, seppur modesta, del gettito fiscale». Proprio attingendo ai normali meccanismi della democrazia, si possono agevolmente superare le perplessità avanzate dalla Corte dei Conti circa il meccanismo delle «scelte non espresse». Infatti, nota la Cei, «la scelta del legislatore è stata quella di ripartire una quota dell'Irpef generale sul modello delle votazioni politiche, momento esemplare di partecipazione democratica, dove il numero dei votanti non determina il numero dei seggi da assegnare, che sono, infatti, assegnati tutti, anche se non tutti gli elettori si recano alle urne». Emerge poi una certa contraddittorietà, in questa delibera della Corte dei Conti, fra il rilievo circa l'insufficiente conoscenza che si registra su questa modalità di contribuzione e quello con cui si stigmatizza il «rilevante ricorso alle campagna pubblicitarie» da parte delle singole confessioni. Le quali, nota invece la Cei, «concorrono in misura significativa a realizzare un'adeguata informazione», che va semmai «armonizzata» con le informazioni di carattere generale. Par di capire, quindi, che il rilievo sia indirizzato allo Stato sia per lo «scarso interesse» manifestato per la quota di sua competenza, sia per il mancato impegno nel pubblicizzare un meccanismo che si è inteso mettere in piedi. Anche se Palazzo Chigi ha di recente manifestato l'intenzione di implementare l'area dedicata all'informazione sull'8 per mille. Debole si rivela poi l'argomento della presunta penalizzazione di cui sarebbero vittima le confessioni religiose non firmatarie di accordi, perché questo è normalmente l'effetto di una mancata, o non chiara, condivisione dei valori della Costituzione che sono la base minima per poter arrivare a stipulare un accordo con lo Stato. Quanto alla trasparenza nella gestione dei fondi, infine, i rendiconti annuali – si fa notare da parte della Cei – vengono regolarmente pubblicati nel notiziario della Conferenza episcopale. Ultimamente è stata implementata l'informazione anche attraverso diversi canali informativi accessibili a tutti. Un meccanismo quindi, l'8 per mille, che ha ben funzionato, a beneficio della collettività.