Grandi sfide. Matteo Zuppi e Walter Veltroni, un dialogo sulla speranza
Il cardinale Matteo Maria Zuppi e Walter Veltroni
Il presidente Cei e il fondatore del Pd in Non arrendiamoci (Rizzoli, pagine 144, euro 16,00) ragionano su alcune piaghe del nostro tempo. Anticipiamo la riflessione sulla necessità di un orizzonte utopico dell’agire.
ZUPPI: Il mondo è pieno di solitudine. Non siamo mai stati così interconnessi, eppure non siamo mai stati così soli, e questo perché le reti in cui siamo immersi sono in realtà deboli e individualizzate. Tutti i giorni sperimentiamo con fatica la crisi delle relazioni familiari, le difficoltà a rapportarci con gli altri, la solitudine fisica indotta della realtà virtuale e quella più feroce generata dai social media. Ma noi possiamo e dobbiamo essere la famiglia per le persone sole. La nostra sfida può e deve essere quella di trasformare il deserto della solitudine, delle paure, in una foresta di relazioni.
CAMURRI: Ma qual è la misura? Mi spiego: io ho l’utopia di un mondo senza carceri perché trovo inaccettabile che ci siano persone che vivono dietro le sbarre perché non abbiamo mai trovato e voluto immaginare soluzioni diverse dalle galere. Per rivendicare questa utopia, quante bestemmie si possono sopportare? Qual è il grado di pazienza e di compromesso che l’utopia può accettare senza rischiare di smarrirsi quando deve fare i conti con un realismo odioso, ottuso, violento che le si contrappone e la delegittima?
VELTRONI: Occorre radicalità delle intenzioni e realismo del-l’attuazione, perché l’utopia di un mondo senza prigioni si sposa con l’utopia di un mondo senza mafia; e per combattere la mafia probabilmente abbiamo ancora bisogno del 41bis. Almeno, questo ci dicono tutti quelli che se ne occupano, e la storia mi sembra che lo confermi. Lo stesso vale per la pace. L’utopia della pace si deve sostanziare attraverso ciascun passo progressivo e necessario. In fondo, tutte le conquiste alle quali abbiamo accennato sono state costruite percorrendo millimetro per millimetro la strada, onorando ogni piccolo spazio che si apriva. L’utopia ha un ritmo, ha uno spartito che deve essere suonato. Quando questa musica non viene articolata, quando si corre in fretta alle ultime note, avvertiamo quasi sempre un fragore. Strappare lo spartito dell’utopia, imporla senza realismo, in genere produce un bagno di sangue. E lo abbiamo visto, quando è successo. Ci vuole dunque una nettezza delle intenzioni utopiche e, al tempo stesso, il realismo delle circostanze, l’accordo con la contingenza, il pragmatismo dell’esperienza. (...) Ora, l’Europa è una grande utopia che stiamo ancora provando a realizzare compiutamente ma che, di fatto, è già qui; e ci siamo arrivati passo dopo passo, tra molte difficoltà superate con quella tenacia millimetrica di cui parlavo. Ci stiamo riuscendo perché quel sogno che ci ha preceduto era ed è continuamente davanti a noi.
ZUPPI: Sono d’accordo con Walter: radicalità da una parte e realismo dall’altra Però bisogna fare attenzione al realismo, o quantomeno occorre avere una grande forza d’animo di fronte alla realtà. Quanti sogni, per esempio, sono finiti perché non hanno avuto la forza di fare i conti con la realtà? È il discorso che faceva Walter a proposito della droga che ha falcidiato quella generazione, la nostra, che amava sognare. A volte ci si arrende, a volte sentiamo di non farcela e così finiamo col diventare cinici, troppo realisti. Ci si sistema per non cambiare più, anzi proprio per non cambiare. Ci si adegua oppure ci si autodistrugge. Il punto allora è: essere realisti, ma non smettere mai di essere radicali, di pensare che il mondo vada cambiato; e proprio per questo è importante imparare a misurarsi con le proprie contraddizioni. Praticare questa disciplina. Faccio un esempio per analogia. A cinquant’anni dal Concilio, papa Benedetto fece un commento molto intelligente in cui ricordava il suo entusiasmo per quel momento importante, un entusiasmo che prevedeva e auspicava un grande rinnovamento della Chiesa. Dovette constatare tutto quello che il Concilio non era riuscito a sviluppare e a manifestare, costretto a fare i conti con la triste consapevolezza che il peccato è sempre presente all’interno della Chiesa. In molti hanno detto che in papa Benedetto fosse prevalsa la paura, uno smarrimento e un disincanto realista, e invece io penso esattamente il contrario. In papa Benedetto si manifestò la forza di affrontare le contraddizioni, la sconfitta ma non nascondendo la fatica e la disillusione.
Qual è il prezzo di tutto questo, di questo fare i conti con la realtà? In termini cristiani, è la Croce. Il martire non è una persona coraggiosa, ma è una persona che sa che c’è un prezzo da pagare e che lo paga, è una persona che va avanti, che non cede, che non molla, che considera reale l’utopia e radicale la realtà. Una figura meravigliosa come padre Pino Puglisi, assassinato nel 1993 dalla mafia perché insegnava ai giovani lo spirito evangelico, li affrancava dalla schiavitù del sistema criminale minorile. Non voleva certo fare il martire. Ma il suo amore per i ragazzi era più grande di ogni circostanza. Tanti martiri non hanno mai smesso di combattere la guerra in Salvador o di combattere la mafia a Brancaccio. Non si arrendono, non salvano se stessi, ma vanno avanti, con realismo e profezia. A questo proposito c’è un’espressione curiosa che papa Francesco usa spesso: « Dobbiamo avviare processi». In questo papa Francesco è insieme un grande sognatore e un autentico realista, perché avviare dei processi significa che la realtà è anche qualcosa che nessuno di noi potrà mai vedere per intero, ma che, una volta avviato un processo, sai che qualcosa, prima o poi, capiterà. È la consapevolezza di sapere che quello che facciamo avrà sempre delle conseguenze, che andrà oltre noi stessi, i noi stessi di qui e ora, che si trasformerà, che avrà la capacità di mettere in moto quella stessa realtà da cui si parte, ma in un altro tempo. Penso infatti che dovremmo rivendicare questa affermazione: il sogno è la vera ragionevolezza. Cos’è ragionevole? La schiavitù? No. È ragionevole la pena di morte? No. Torniamo alla dimensione temporale, torniamo a ragionare sulle parole di papa Francesco: « Dobbiamo avviare processi».
VELTRONI: In effetti la ragionevolezza è il recinto nel quale ti trovi, dove guardi le palizzate e in un primo momento ti trovi a pensare che oltre quelle palizzate è impossibile andare. Poi, però, se invece quelle palizzate decidi di aprirle, se hai l’immaginazione e la voglia di provarci, scopri che al di là di queste esiste un altro spazio possibile, da abitare, da coltivare.