Il ricordo. Addio a Franco Zuccalà, narratore del calcio e dello sport di ieri
Il giornalista sportivo Franco Zuccalà (1940-2023) durante un reportage allo stadio Azteca di Città del Messico
Quando muore un giornalista sportivo di razza, con cui sei cresciuto guardandolo alla tv dal tuo piccolo mondo antico di provincia, e poi te lo ritrovi sotto casa, al caffè della Martesana nella “gran Milan”, una volta che sei salito al Nord e al rango di suo collega, è come se ti viene a mancare uno di famiglia. Io Franco Zuccalà lo conoscevo bene. Abbiamo viaggiato insieme per Mondiali e Europei di calcio, per Olimpiadi (lui ne aveva seguite 10 edizioni di ognuno di quegli eventi), e tante volte mi sono abbeverato dei suoi racconti da stadio e di vita in cui sapeva mischiare alto e basso con sagacia da saggista prestato allo sport. Pezzi di storia che per il suo concittadino catanese Pippo Baudo erano spunti di un giornalista con «il fiuto da cane da tartufo». Gli ultimi racconti fatti in presa diretta, un paio di settimane fa, un incontro casuale assieme a mia moglie Rita: Franco che batte i denti dal freddo ammantato dentro al suo loden verde, il bavero alzato e il cappello calato a incorniciare quegli occhietti vispi, sempre curiosi e attenti sul mondo. Un ciao Fra’ come va? «Non va bene, ho tutti i mali possibili e immaginabili, e poi, con mia moglie, dopo 40 anni ci hanno sfrattati dalla nostra vecchia casa », rispose con un pizzico di quella velata malinconia che comunque era una cifra del suo carattere, sornione e nostalgico quanto basta. Via dalla casa della Maggiolina, il quartiere dei giornalisti, per restare comunque in zona, ma in quello sfratto c’è stato sicuramente lo strappo fatale. Quella era la tana del cronista di lungo corso. Zuccalà l’uomo della domenica. Nell’anno del Mundial 1982, la Rai perdeva un “fuoriclasse” della narrazione calcistica come Beppe Viola e quel vuoto va a riempirlo un altrettanto bravo e preparato Zuccalà. La pelatina intelligente che piaceva tanto anche ai tifosi con i suoi commenti puntuali e talora al vetriolo, pieni di quella cultura classica appresa alla scuola etnea della sua Catania, da cui partì alla volta di Milano anche il patron della rosea, il direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò. E Zuccalà prese il posto di Cannavò, caporedattore della Gazzetta dello Sport edizione siciliana, prima di approdare alla Domenica Sportiva e diventare inviato di calcio di 90°Minuto d la voce dello sport del Tg1. Ben 14 anni passati negli Stati Uniti per Rai International e di quella esperienza a stretto contatto con il popolo di Little Italy scrisse un gustoso libro memoir, Il re di Broccolino. Un cammino nella tv di Stato interrotto da dissapori con il Cavaliere, Silvio Berlusconi, che anche per lui, come per Enzo Biagi aveva preparato un “edittino” bulgaro. Ma quelli destinati ai i giornalisti sportivi fanno meno rumore e poi il mite Franco preferì andare “esule” a parlare di calcio all’emittente di Montecarlo per poi farsi la sua bella vacanza estiva nella casa francese. Dei suoi viaggi ne ha fatto documentari, reportage dai posti più esotici del pianeta, belli e archiviati nella sua abitazione assieme a ritratti antologici delle interviste a pezzi unici come Maradona, Kissinger e Mandela... Spesso quei suoi lavori di artigianato si lamentava di averli offerti alla Rai, ma senza ricevere alcuna risposta, ora magari chissà, qualcuno in Corso Sempione si incuriosisce e li manderà in onda? La sua fame di notizie da dare e di storie da raccontare ancora la saziava con i pezzi scritti per l’agenzia Italpress e l’ultimo sorriso me lo ha regalato dicendomi: «Unica consolazione della nuova casa dove mi sono sistemato sai qual è? Nel mio pianerottolo c’è un piccolo editore che riconoscendomi mi ha detto: “Signor Zuccalà, non è che scriverebbe un libro per noi?”. E io l’ho scritto, appena lo pubblica te lo porto all’Avvenire ». Franco, quella copia l’aspetto comunque, e la tua dedica spero che mi arrivi dal Cielo.