Classe 1936, Zubin Mehta è nato a Bombay. Dopo gli studi musicali con il padre Mehli si trasferisce a Vienna. Nel 1958 vince il Concorso internazionale di Liverpool. Nel 1961 sale per la prima volta sul podio dei Wiener. Dal 1978, e per 13 anni, è Direttore musicale della New York philharmonic. Dal 1981, è direttore musicale a vita della Israel philharmonic. Dal 1985, diventa direttore principale del Maggio musicale fiorentino: sarà lui il prossimo 27 aprile ad aprire l’edizione 2015 con il
Fidelio di Beethoven mentre con l’Orchestra del Maggio sarà protagonista il 6 aprile del concerto di Pasqua (all’interno di “Omaggio all’Umbria”), trasmesso da Raiuno, dal Duomo di Orvieto. Nel 1990 dirige a Caracalla il concerto dei Tre tenori per i Mondiali di calcio. Dal 2011 il suo nome è scritto sulla “Walk of fame” a Los Angeles. La Decca lo celebra oggi con un cofanetto di 23 cd che raccoglie il meglio delle sue incisioni sinfoniche. Tra i brani, l’integrale delle
Sinfonie di Cajkovskij e quella delle
Sinfonie di Schubert. Spazio anche a Mahler e a Richard Strauss. Domenica Mehta dirigerà alla Scala l’ultima recita della verdiana
Aida con la regia di Peter Stein. L’impressione è quella di un
Best of, quello che i cantanti di musica leggera a un certo punto della carriera mandano nei negozi con
Il meglio di… magari accompagnato da qualche inedito. Solo che nei 23 cd che la Decca raccoglie sotto il titolo
Zubin Mehta symphonies and symphonic poems non ci sono hit pop o rock di ieri e di oggi, ma le
Sinfonie di Schubert e quelle di Cajkovskij, le partiture di Mahler e i
Poemi sinfonici di Richard Strauss. Che il direttore d’orchestra indiano ha inciso dal 1967 per l’etichetta londinese sul podio delle “sue” orchestre, i Wiener e la Israel philharmonic, la New York philharmonic e la Los Angeles. E, come in un
Best of che si rispetti, c’è anche l’inedito, la
Sinfonia n.7 di Dvorak incisa nel 1967 con la Israel philharmonic e pubblicata ora per la prima volta in cd. «Questa raccolta per me è stata una bella sorpresa. È stato come sfogliare un album dei ricordi», racconta Mehta guardando il cofanetto sul quale c’è una foto di lui giovanissimo. «Nel 1958, quando ho iniziato la mia carriera – ricorda –, hanno bussato alla mia porta diverse case discografiche per chiedermi di incidere. Ma ho preferito dire no. Il primo disco è arrivato dopo dieci anni di concerti».
Incisione che ritroviamo in questo cofanetto, insieme a molte altre pagine. Che effetto le fa, maestro Mehta? «Un tuffo nel passato per fare memoria di tanti lavori fatti con le orchestre con le quali ho collaborato nel corso del tempo. Sono brani registrati in presa diretta, senza un lavoro di post produzione in studio. Ma tutti i pezzi che ho registrato, prima li ho suonati a lungo dal vivo: è stata sempre una mia caratteristica quella di voler sperimentare sul campo i brani prima di arrivare in studio. Sono sempre entrato in sala di incisione solo quando ero convinto della mia interpretazione perché il disco per me è sempre stato un punto di arrivo nel quale condensare tutte le riflessioni che nel tempo avevo fatto accostandomi alle diverse partiture».
Da quali pagine consiglierebbe di iniziare l’ascolto? «Sicuramente dalle
Sinfonie di Schubert che ho inciso tra il 1977 e il 1979 con la Israel philharmonic. Ma, riascoltando i cd mi ha fatto piacere ritrovare la
Eine Alpensinfonie di Strauss, incisione datata 1976 con la Los Angeles philharmonic, e la
Nona di Bruckner realizzata con i Wiener nel 1980».
Le ha riascoltate con un po’ di nostalgia? «Ho una buona memoria, ricordo tutti i concerti che ho fatto e conservo nel cuore ogni momento della mia avventura musicale. Ma non è mia abitudine guardare al passato. Preferisco guardare avanti, al futuro. Spinto sempre a fare quello che faccio dall’amore per la musica».
Anche a 78 anni? Non vorrebbe concedersi un po’ di risposo? «No, finché troverò soddisfazione in quello che faccio. Tra febbraio e marzo ho fatto il pendolare tra Milano e Napoli, da una parte
Aida e dall’altra
Tristano e Isotta. E in mezzo anche concerti con i Wiener: domenica alle 11 dirigerò aVienna e alle 17 sarò a Milano per
Aida. In questo periodo non ho mai saltato una prova, ho fatto il pendolare della musica per rispondere a una chiamata della Scala e di Alxander Pereira che mi ha chiesto di prendere il posto del compianto Lorin Maazel».
A proposito, negli ultimi tempi abbiano detto addio a grandi del podio. «Lorin era un amico così come Claudio Abbado con il quale abbiamo condiviso gli anni della formazione a Vienna. Io ho perso due amici, il mondo della musica due grandi direttori che hanno segnato la storia».
In Italia, dove lei dirige spesso, la situazione dei teatri è sempre difficile. Come uscirne? «Sono sempre stato molto critico nei confronti dei vari governi italiani, colpevoli di non sostenere abbastanza la cultura. Ora vedo che qualcosa si muove. Mi sembra che Renzi, con il quale ho collaborato a Firenze quando era sindaco e quindi presidente del Maggio musicale, stia lavorando nella direzione giusta. Certo, i provvedimenti non sono ancora sufficienti, occorre fare di più per la cultura, ma un pallido raggio di sole mi sembra di intravederlo. E la stessa fiducia la ripongo nel Maggio musicale di cui sono direttore principale: certo è in un periodo difficile che si protrae da troppo tempo, ma non ho mai mollato, sono sempre stato al fianco di tutti i lavoratori perché sono certo che ce la faremo a risollevarci».