Agorà

Cinema. Zingaretti: «La bellezza può salvare il mondo»

Alessandra De Luca venerdì 25 ottobre 2024

Gianmarco Franchini nel film di Luca Zingaretti "La casa degli sguardi"

Le fragilità dei giovani e il senso di essere padri, l’amicizia e l’amore, il dolore da abbracciare e vincere, il lavoro che regala identità e dignità, e la capacità di restare accanto alle persone a cui vogliamo bene. Luca Zingaretti esordisce alla regia di un lungometraggio con La casa degli sguardi, tratto dal romanzo di Daniele Mencarelli e presentato giovedì 24 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. Scritto da Stefano Rulli e Gloria Malatesta, interpretato dallo stesso Zingaretti con Gianmarco Franchini, Federico Tocci, Chiara Celotto, Alessio Moneta, Riccardo Lai, Marco Felli, Christian Di Sante e Filippo Tirabassi, il film è la storia di Marco, che ha 20 anni e una grande capacità di sentire sulla propria pelle il dolore del mondo. Per anestetizzare questo dolore scrive poesie e cerca nell’alcool e nelle droghe “la dimenticanza”, quello stato di incoscienza impenetrabile anche all’angoscia di esistere e di vivere.

In fuga soprattutto da se stesso, è incapace di stare nelle cose, e si è allontanato da tutti, amici e fidanzata, spaventati dalla sua voglia di distruggersi. Anche il padre, testimone di questo lento suicidio, è incapace di gestire tanta sofferenza, ma tenta almeno di esserci, mentre la madre, scomparsa qualche anno prima, ha lasciato un grande vuoto. Quando comincia a lavorare nella cooperativa di pulizie del Bambin Gesù, ospedale pediatrico di Roma, è convinto che questa esperienza, a contatto con i bambini malati, lo ucciderà. E invece, anche grazie a una colorita squadra di addetti alle pulizie, senza troppi peli sulla lingua, il ragazzo scoprirà un nuovo punto di vista dal quale osservare il mondo che lo circonda e che tanto lo spaventa.

«La casa degli sguardi è un film che parla di sofferenza – dice Zingaretti –, che però è un ingrediente necessario per la felicità, perché dolore e gioia sono fatti della stessa materia. Un film sulla poesia, sulla bellezza e sulla loro capacità salvifica. Un film che parla di genitori e figli e della capacità di stare, come atto di amore più puro. Un film sull’amore e l’amicizia, che possono farti ritrovare la strada di casa. Un film sul lavoro, che radica e identifica, e sulle persone che lo nobilitano. Un film sulla vita, perché c’è sempre un motivo per resistere, sulla speranza e sulla capacità dell’uomo di risorgere. Nel leggere questa storia, dove sono racchiusi tanti argomenti che mi appartengono e a cui tengo, mi sono sentito pronto per la mia prima regia cinematografica».

Ripensando al Montalbano che lo ha accompagnato per due decenni, Zingaretti ammette di essere stato poco generoso in passato verso un'esperienza che un po’ gli ha tolto e molto gli ha dato, rimpiangendo di non essersi goduto di più quei momenti, scalciando in un ruolo che aveva cominciato a sentire come una costrizione. «Mi considero una persona molto curiosa e la curiosità porta a esplorare territori diversi e altri aspetti del proprio lavoro. Sono quindi felice di offrire al pubblico un nuovo figlio, frutto della fatica di tante persone negli ultimi due anni e mezzo. Un’esperienza molto ricca che ora voglio godermi in ogni più piccolo momento».

Zingaretti si ritaglia nel film il ruolo del padre di Marco, Marcolino per tutti, un tranviere che non ha forse tutti gli strumenti per affrontare l’inquietudine del figlio, ma se lo tiene stretto e cerca di fare il genitore. «Oggi i giovani sono alle prese con un male di vivere enorme, superiore al nostro. Il mondo cambia velocemente e con lui i punti di riferimenti. Temo poi che il peggio debba ancora venire, non abbiamo fatto ancora i conti infatti con l’intelligenza artificiale che accelererà certi meccanismi, mentre riflessioni e regolamentazioni della politica e della filosofia procedono assai più lentamente. Questa generazione affronta difficoltà quasi insormontabili, ma al tempo stesso è molto più solida di quanto si potrebbe pensare. Mentre il ruolo della madre è legato alla natura e prevede un accudimento necessario, quello del padre cambia a seconda della società in cui viviamo. Nel film abbiamo a che fare con un padre molto moderno, che appartiene alla working class, crede in solidi principi etici e ha capito che il segreto della vita è quello di accontentarsi, di non andare a cercare altro. Fa il tranviere, ma questo non significa che non si goda ogni volta il percorso. La felicità per lui è qui e adesso. È un padre che ha deciso di stare accanto al figlio, perché questo è il suo modo di insegnargli a vivere. Un atteggiamento che dà i suoi frutti a lunga scadenza, ma più duraturi. Lui ha la capacità di stare e anche se non sa bene come affrontare il tormento del ragazzo, resta per accoglierlo ogni volta a braccia aperte e per tenerlo al caldo».

Gianmarco Franchini, che abbiamo già visto in Adagio di Stefano Sollima, è un autentico giovane talento. «Questo ragazzo non è solo bravo, ma ha un’anima e non ha paura di mostrarcela, la cosa di cui più si soffre la mancanza in questi anni. Gli sono stato molto addosso, e come lui tutti gli attori mi hanno restituito quello che desideravo filtrandolo attraverso la propria sensibilità. Raccontando un ragazzo con un problema di alcool nel reparto pediatrico di un ospedale il rischio di essere ricattatori era dietro l’angolo. Da attore so riconoscere gli attori autentici, carnali, animali».

Zingaretti si dice realmente convinto che la bellezza possa salvare il mondo, ora più che mai, e portarci oltre le piccole grandi meschinità della vita. E a proposito del titolo del film, commenta: «La casa degli sguardi è il titolo del libro di Mencarelli da cui siamo partiti, un titolo da mantenere perché lo sguardo è quella cosa a cui non ti puoi sottrarre. Guardandosi negli occhi poi ci si impedisce di mentire. L’incontro di Marcolino con tanti sguardi lo aiuta a rimettersi in piedi e alla fine, anche se del domani non vi è certezza, a uscire dal suo tunnel».