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Il coreografo. Renato Zanella: «Rilanciamo la danza italiana»

Angela Calvini martedì 21 marzo 2023

Il coreografo veronese Renato Zanella, 61 anni

La sua storia ricorda un po’ quella di Billy Elliot, il ragazzino inglese che voleva danzare contro il volere del padre. Il veronese Renato Zanella, 61 anni, già ballerino e poi coreografo e regista teatrale dal successo internazionale, attuale direttore artistico del corpo di ballo dell’Opera di Lubiana, a 17 anni scappò di casa per andare a studiare danza a Cannes. Il padre industriale lo voleva nell’azienda conciaria di famiglia; lui, che aveva scoperto la danza all’ombra dell’Arena, seguì la sua passione. Una passione che lo ha portato a danzare in tutto mondo e, poi, a dirigere la scuola di ballo dell’Opera di Vienna e, come direttore artistico della Staatsoper di Vienna, a creare, fra il 1995 e il 2005 le coreografie più belle del Concerto di Capodanno dal Musikverein. E’ stato anche direttore del Corpo di ballo della Fondazione Arena di Verona mentre ora è anche direttore artistico per la danza del Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento.

«Mio padre è mancato da poco più di un mese. Dapprima era arrabbiato, diceva che io facevo la rivista, poi quando si è accorto dei miei successi è stato molto fiero di me» ci racconta commuovendosi il maestro Zanella, pensando anche ai suoi quattro figli. E un po’ della sua Verona l’artista la porterà sul palco del Teatro Verdi di Trieste che, nel quadro del nuovo accordo di co-produzione sul balletto con l’Opera di Lubiana, da stasera 21 marzo al 26 marzo vedrà in scena il Romeo e Giulietta di Prokofiev. Un grande classico che lui ha danzato e curato più volte quando era a Stoccarda e Vienna. «Verona vive ancora con questo falso storico medievale ad uso turistico che conosco bene – spiega -. E’ importante invece ambientare questa straordinaria storia d’amore in una Verona di oggi che ha ancora rivalità fra le famiglie sempre per questioni di potere». Zanella si ispira alla propria esperienza di figlio di industriale. «La competitività oggi a Verona si dimostra con lo sport. Quand’ero ragazzo si andava a giocare in un club esclusivo del tennis a Borgo Milano dove le guerre fra famiglie erano sfide tennistiche». Il balletto di Zanella inizia invece con una sfida in punta di fioretto, sport che ha praticato. In apertura i Montecchi e i Capuleti, i cui genitori sono vecchi campioni, si incontrano e poi si sfidano in una palestra di scherma dove per sbaglio gli viene dato lo stesso orario per allenarsi.

Ma sono le donne le vere protagoniste della nuova coreografia di Zanella. A partire da Giulietta, la cui storia si sviluppa in un giorno. «Come quella di una farfalla – aggiunge il coreografo -. Così è la vita di questa 14enne che da bambina diventa donna, scopre l’amore, vede la morte e si uccide. E’ una donna che non accetta il compromesso. Al contrario di sua madre che è una Giulietta che ha accettato il compromesso ed ha rinunciato alla felicità. E poi c’è Rosalina, la prima amante di Romeo: la vedo come una donna completamente emancipata». Un messaggio politico quindi per «una storia di donne che vivono in un sistema maschilista e arcaico. Basta vedere la decadenza di Paesi come l’Afghanistan e Iran, dove la donna vive la sua sofferenza. Invece la donna è qualcosa di straordinario e diverso».

Il coreografo, che si definisce «un prodotto da esportazione», amerebbe tornare in Italia anche se la situazione non è buona. «Da quando sono nate le fondazioni lirico-sinfoniche il balletto non è neanche nominato. C’è stata ignoranza politica di alto livello che non ha tenuto conto che abbiamo inventato noi la danza. Per questo ho dato le dimissioni quando ero a Verona – ricorda -. All’estero abbiamo chiarissime leggi sulla missione politico artistica della danza come in Germania, Francia o anche in Slovenia dove ci sono ben due compagnie nazionali. Da noi la danza è un tappabuchi, il balletto italiano è formato da precari». Il coreografo comunque plaude all’annuncio del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano di voler creare due nuovi corpi di ballo per due grandi teatri lirici italiani che al momento non li hanno: prima erano 14 ora sono 4 (Milano, Roma, Napoli e Palermo). «E’ una notizia straordinaria, dovrebbe aggiungere stabilità e togliere il precariato – aggiunge -. Noi dobbiamo tornare al teatro di repertorio con compagnie stabili e con ballerini con contratti stabili annuali».

All’estero Zanella ha avuto le sue soddisfazioni, come firmare ben 19 coreografie per il Concerto di Capodanno dell’Orchestra Filarmonica di Vienna trasmesso in mondovisione. «All’inizio non mi piaceva l’dea di farli – confessa – . Avevo 33 anni, venivo dagli anni 80 passati in Germania dove lavoravo con i coreografi più avanguardisti, figuriamoci fare un valzer. Quello che piaceva alla tv delle mie coreografie era l’idea innovativa, un po’ di leggerezza. Io adoro Goldoni, i film di Vittorio De Sica, di De Filippo e Fellini così ho pensato di proporre qualcosa di più comico e leggero. Ho lavorato coi più grandi direttori e registi: essere se stessi e credere in quello che si fa penso che sia la formula vincente».

Come vincente è la sua esperienza di danza con la disabilità, di cui è stato uno dei pionieri. «Ho tuttora progetti con i diversamente abili nei vari luoghi dove lavoro, da Lubiana a Bolzano, col progetto Danza senza fine – ci racconta Zanella -. Ho sempre cercato situazioni reali, la vita quotidiana. Non faccio show, i teatri sono stati creati per istruire, meravigliare e portare eccellenza. Ero molto timido da piccolo, e ho amato la danza perché è l’arte del silenzio, non dovevo parlare. Ho iniziato a lavorare a Stoccarda negli anni 80 con i sordomuti sul linguaggio gestuale, e questo ha rivoluzionato il mio sistema coreografico. Quando sono passato a Vienna mi sono messo in contatto con delle associazioni di disabili: sono arrivate in larga parte persone con la sindrome di down e io ho iniziato con loro progetti tutti di volontariato senza budget. Finché un giorno il Presidente della Repubblica austriaca venne a vedere lo spettacolo e decise che il programma doveva essere presentato all’Opera di Vienna creando un conflitto politico a livello nazionale. Era il 1992, a quei tempi non poteva entrare a teatro neanche una sedia a rotelle perché poteva ostruire i passaggi».

Ma non vuole farsene un vanto, anzi, il suo scopo è «crescere e ricondurre certi linguaggi alla normalità. Il tempo non esiste e loro hanno un modo di muoversi nel tempo che è diverso da noi. Non sono i cromosomi, siamo noi che abbiamo strutturato il tempo a nostra immagine e somiglianza. Con loro è come entrare in altri mondi con altre lingue e miglioriamo noi stessi. La missione umana è migliorare la qualità della vita. Se lo facessimo tutti avremmo un modo diverso».