Anniversario. Il diario dal lager di Enrico Zampetti, una via per la salvezza
Enrico Zampetti in uniforme
Un testimone di fede, di impegno civile e culturale in seno alle istituzioni democratiche e repubblicane, ma anche nel mondo dell’università e del giornalismo. Una figura da riscoprire, quella di Enrico Zampetti a cento anni dalla sua nascita avvenuta a Lecce dei Marsi, in provincia dell’Aquila, il 25 novembre 1921. Conseguita nel 1939 la maturità classica, si iscrive al corso di laurea in Lettere all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Anni intensi che lo vedranno tra i protagonisti del circolo romano della Fuci e utili per la sua formazione giovanile sia sotto il profilo sociale che spirituale. Poi lo scoppio della Seconda guerra mondiale e la chiamata alle armi nel marzo del 1941. Zampetti sarà sottotenente dei bersaglieri e vivrà il dramma della Divisione “Acqui” a Cefalonia e Corfù. E’ il 25 settembre 1943 quando viene catturato dai nazisti, una data che segna l’inizio della sua vita di Internato militare italiano (IMI). Deportato nei lager del Terzo Reich, Enrico Zampetti, così come gli oltre 650mila prigionieri italiani, opporrà un netto rifiuto a collaborare con la Germania di Hitler e con la Repubblica sociale italiana in cambio della liberazione. Saranno anni drammatici quelli dell’internamento nello STALAG 307 di Deblin-Irena, nel distretto di Lublino in Polonia, così come quelli vissuti nell’OFLAG 6 di Oberlangen, al confine olandese. Enrico Zampetti non cederà mai ai nazifascisti, nonostante i morsi della fame e le atrocità subite. L’ufficiale terrà un diario su cui annoterà fatti, momenti, dettagli di una prigionia che non ha nessun rispetto per la dignità umana. Come lui giovani ufficiali come Michele Montagano, oggi Presidente onorario dell’Anrp, ma anche Paolo Desana (futuro politico della Democrazia Cristiana, conosciuto per aver fatto approvare la Legge 930 sulla Denominazione di Origine Controllata), la cui storia è legata ai “360 di Colonia”. Una “resistenza senz’armi” che fu un palese rifiuto a combattere a fianco dei nazisti e della Repubblica di Salò. "Il mio zaino sulle spalle, il tuo amore, la nostra fede" è una delle frasi più significative della Lettera a Marisa che sintetizza tre aspetti centrali dell’esperienza dei venti mesi dell'internamento: la vita di un ufficiale prigioniero nel lager, fatta di pesi, di sofferenze, di difficoltà materiali e di frequenti viaggi; l'amore come antidoto alla solitudine, alla "tristezza angosciosa" e all'inevitabile "indurimento"; la fede come asse centrale di un percorso personale, rafforzato nel fidanzamento con Marisa, che consente di coniugare il passato col presente e prefigurare il futuro, accettando la prova cui è sottoposto. "Così omnia mea mecum porto e non ho bisogno di altro" aggiunge Enrico. Proprio il diario scritto durante l’internamento sarà la via non solo per la sopravvivenza al lager, ma la chiave utile a guardare a un futuro di Salvezza. Per Zampetti il diario diventa quasi come una fotografia, un dettaglio sul mondo concentrazionario, utile a far comprendere fatti e situazioni. Ma c’è di più, ed è questa l’originalità di Enrico Zampetti: il diario della prigionia può diventare “strumento di ricerca e di formazione” caratterizzato da tre momenti fondamentali: il momento del raccoglimento; il momento dell’impegno e la “spirale del diario”. Tre nodi fondamentali che emergono dalla tesi di laurea in filosofia discussa dall’ex internato militare italiano all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 1951. Il diario assume la fisionomia di un mezzo attraverso il quale avviene un processo spirituale che coinvolge non solo coloro che aprono il loro animo alla riflessione quotidiana, ma è capace di coinvolgere addirittura la comunità. Quello che Olindo Orlandi, anch’egli internato militare e grande amico di Zampetti, chiama “Journal intime” è lo strumento che porta all’elevazione spirituale se non addirittura alla Salvezza che non è solo una questione legata alla sopravvivenza ai lager nazisti o allo scongiurato pericolo di morte. Scrive Zampetti: “L’esercizio del diario impone, in chi esso affida la confidenza quotidiana delle proprie ansie e delle illuminazioni improvvise, delle proprie conquiste e cadute una disciplina di pensiero che si concreta in due diversi momenti spirituali: quello del raccoglimento interiore e dell’onestà verso sé stessi e quello dell’impegno per l’azione”.
Un gruppo di IMI in un campo di prigionia - foto Anrp
La vita degli Imi fu dura e al limite della sopravvivenza. Non solo percosse e ingiurie, ma anche e soprattutto i morsi della fame si unirono alle angherie degli aguzzini. Quella degli Internati Militari Italiani non è la fame comune. “Non quella che viene dallo stomaco –scrive Enrico Zampetti nel suo diario -, ma quella che sorge da tutto il corpo, dalla carne e dallo spirito. La fame significa lento deperire fino all’esaurimento, la fame che può fare impazzire”. La tentazione era dietro l’angolo. Bastava mettere una firma su un modulo predisposto dai carcerieri e quell’universo di fame e di morte poteva essere per sempre dimenticato. Invece oltre 650mila Internati Militari Italiani scelsero di resistere. Con essi Enrico Zampetti. Alla base di tutto c’era una questione: per sentirsi liberi la coscienza non poteva essere violata. Lo scrive anche Giovannino Guareschi nel suo Diario clandestino: “L’uomo è fatto così, signora Germania, di fuori è una faccenda molto facile da comandare, dentro ce n’è un’altra e la comanda solo il Padre Eterno. E’ questa la fregatura, Signora Germania” .Vittorio Emanuele Giuntella, altro compagno d’armi e amico di Zampetti scrive: “Nel lager io ero a posto con me stesso e con la mia coscienza, ero finalmente dalla parte giusta. Perciò vissi nel lager come un combattente”.
La resistenza culturale e religiosa di Zampetti e degli ufficiali Imi, la sua diaristica come patrimonio culturale da riscoprire, la centralità della fede nel dramma del lager, la sua esperienza concentrazionaria e i luoghi della prigionia come Wietzendorf, saranno al centro del Convegno promosso dal Senato in collaborazione con l’Anrp, l’Associazione nazionale reduci dalla prigionia e dall’internamento, che si terrà lunedì 29 novembre 2021, alle 16.30, presso quella stessa Biblioteca “Giovanni Spadolini”, in Piazza della Minerva a Roma, di cui Zampetti fu direttore dal 1975 fino al pensionamento nel 1978 succedendo proprio all’amico Giuntella. Storici, ricercatori e giornalisti rifletteranno sui numerosi aspetti della vita di Zampetti in cui la fede religiosa e l'amore per la futura moglie si fondono a formare una testimonianza letterariamente pregevole di vitalità, di coraggio e di speranza nella cupa dimensione dei lager. Il convegno, moderato dalla giornalista Mariolina Sattanino, vedrà l’intervento della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati