Pop. Ylenia Lucisano ora diventa cantautrice e non si pente
La giovane cantautrice calabrese Ylenia Lucisano
Ha fatto bene Ylenia Lucisano a disobbedire a suo padre una decina di anni fa. Musicista per amore e diletto, ma altrimenti impegnato per campare, non voleva che sua figlia coltivasse quel suo stesso sogno fatto di musica e parole, per vederselo poi un giorno svanire tra le dita. Non voleva che Ylenia si svegliasse all’improvviso Punta da un chiodo in un campo di papaveri. Invece è proprio questo l’immaginifico titolo del nuovo album della giovane cantautrice calabrese, alla sua convincente prova di maturità artistica dopo il precedente Piccolo universo. Quel suo iniziale mondo sonoro si è ora allargato, decollando. Undici nuovi brani tra pop e folk, sonorità solari e intimistiche insieme, in una suggestiva dimensione onirica che con la complicità di testi introspettivi ed esistenziali rapiscono e prendono per mano. « Punta da un chiodo in un campo di papaveri rappresenta il dolore, l’imprevisto, ciò che non ti aspetti – spiega Ylenia la suggestiva frase-chiave che accompagna e connota il primo brano, A casa di nessuno –. Un’immagine che racchiude il senso intimo di questo mio lavoro. Intanto questa situazione io l’ho sognata per davvero. Il papavero, da cui la papaverina, può simboleggiare per qualcuno la fuga dalla realtà, l’estraniazione, attraverso modalità certamente non consigliabili. Ma il papavero è soprattutto uno dei fiori più fragili in natura. Se lo raccogli, dopo pochi secondi i petali si staccano e volano via. Il papavero qui è dunque la sintesi della ideale purezza e libertà che riverso nei sogni, nel mio vivace a caotico mondo onirico. Ma il chiodo che punge può essere un brusco risveglio».
Risveglio dal sogno di cantare se stessa e il proprio sguardo sulla vita che Ylenia però non correrà affatto. Giugno (il mese dei papaveri) la vedrà infatti impegnata in un tour che culminerà mercoledì 12 nella presentazione dell’album (prodotto, arrangiato e mixato da Taketo Gohara, che vi suona le percussioni) al Mondadori megastore di piazza Duomo a Milano, dove parteciperà il 22 anche al Festival Contaminafro. Prima, l’8 giugno, Ylenia sarà invece al Comacchio Beach Festival mentre (tra le altre date) il 27 a Roma si esibirà al Festival Femminile Plurale e, nella sua Calabria, il 23 luglio a Soverato, aprirà il concerto di De Gregori, a cui il disco è peraltro dedicato. «È una gioia immensa salire sullo stesso palco, perché Francesco è il mio mentore assoluto».
Sogni e realtà, anche dura. Come quei tre anni a Roma quando, nemmeno ventenne subito dopo il diploma di maturità, inseguiva la propria missione. Poi Milano «dove ci sono più opportunità per chi vuol fare musica, ma bisogna avere oltre alla forza caratteriale anche quella artistica, che mi sto costruendo. In questo ambiente è facile incappare in persone che ti illudono». Suo padre Carlo lo sapeva e temeva, ma ora è tra i musicisti dell’album in cui, lui tastierista, suona l’armonica. Non mi pento e Meraviglia (due dei pezzi di maggiore impatto) sembrano così sintetizzare anche simbolicamente questo approdo di- scografico. «Vivere non è respirare quando la vita ti toglie il fiato / Tutto quello che resta è la meraviglia / Tempo al tempo ci provo» canta Ylenia inneggiando a quella bellezza «che ci meraviglia e ci fa perdere il fiato passando anche per l’errore, di cui non ci si deve pentire se significa crescere e spendersi. L’autenticità in fondo sta nella imperfezione, nel non essere omologati. Io ho cercato di trasmettere questo anche nella scrittura delle nuove canzoni».
Testi spesso onirici, si diceva. «Molti di questi brani sono momenti che ho sognato – spiega –. Ho letto in passato alcuni libri sul significato dei sogni, ma entrare razionalmente nella loro dinamica è fuorviante. Preferisco accarezzarne il mistero e i segreti. Sognare è come un dono, perché darne una spiegazione? Così come non sono d’accordo con lo spiegare le canzoni. Io non so perché in un tal momento ho scritto una determinata cosa. La canzone dovrebbe esprimere stupore, emozionare o commuovere. Certo, se uno compone a tavolino cercando la hit dell’estate il discorso cambia... Perciò sento che questo è davvero il mio primo disco da cantautrice». In alcuni testi c’è stata la collaborazione di Cinaski, autore che lavora da tempo con Vinicio Capossela. «Non è mai intervenuto direttamente, ma mi ha aiutata a definirli meglio. Ci siamo limitati a parlare tantissimo ». Parole e musica, di forte impronta mediterranea. «Qui c’è tutta la mia personalità sonora e timbrica, musicalmente non volevo compromessi ma esprimermi al di là dei criteri commerciali e radiofonici. Ho fatto uscire una personalità che nel primo disco era solo abbozzata. Ho cercato anche di non enfatizzare la voce, ma puntare a una sintesi sonora che desse risalto anche ai testi. In Italia c’è invece la tendenza a esasperare la vocalità. Abbiamo nel Dna il canto. Ma io preferisco la forza della parola».