Corre forte nei prati e in pista Yeman Crippa, è il più forte tra i giovani d’Europa nella corsa campestre, oro europeo junior nel 2014 e oro vinto ancora poche settimane fa nel sud della Francia. È il terzo nella storia degli eurocross a fare doppietta tra gli juniores, prima di lui solo il russo Yevgeniy Rybakov (2002 e 2003) e l’ungherese Barnabas Bene, tra gli azzurri solo Andrea Lalli vinse un oro nel 2006. Yeman fa parte di quella generazione di giovani italiani che sono oggi figli d’immigrati o adottati, marocchini, nigeriani, etiopi, egiziani, eritrei e tanto altro. Solo che Yeman è il migliore, ha solo 19 anni e un futuro roseo e d’atleta di alto livello davanti a sé. Eppure poteva andare peggio, poteva ancora essere nella povertà dell’Etiopia che da bambino lo stava inghiottendo insieme ai suoi fratelli e cugini. Ma il destino è nel suo nome completo,
Yemaneberhan, che in amarico significa “Il braccio destro di Dio”, perché nel 2003 la sua vita cambiò per sempre grazie a Roberto e Luisa Crippa, coppia milanese.
Yeman, lei aveva solo 7 anni, cosa accadde? «Roberto e Luisa mi prelevarono da un orfanotrofio di Addis Abeba dove mi ero rifugiato dopo che la guerra civile etiope aveva ucciso i miei genitori. Vivevamo nel Nord Est del Paese, poi scappammo. Io fui il primo ad arrivare in Trentino, con due mie sorelle, poi nel 2005 ci hanno raggiunti i tre fratelli, e nel 2008 altri due cugini. Abbiamo sempre vissuto in una casa enorme a Montagne, poco distante da Tione, parte della quale mio padre, che faceva l’agente di commercio, ha trasformato in una casa di riposo per persone disabili».
Cosa ricorda dell’Etiopia? «Nelle tre volte che sono ritornato, l’ultima nel 2008, non sapevo più parlare, qualche parola ma nulla più, ma non la dimenticherò mai e un giorno tornerò per costruire un ospedale o una scuola. Mi vengono spesso in mente i momenti che trascorrevo quando ero bambino al villaggio di Dessié e giocavo a rincorrere le mucche oppure facevo lunghe camminate per prendere da bere. Con gli altri bambini non stavamo mai fermi. Là c’era la semplicità delle piccole cose, qui ho tutto e faccio l’atleta professionista, sono un fortunato».
Come è arrivato alle gare di corsa? «Giocavo a calcio nel Val Rendena e nel Tione ma gli allenatori notarono subito una mia spiccata capacità nella corsa e così iniziai ad allenarmi nell’Atletica Valchiese con il tecnico Marco Borsari che è mancato nel 2011. Da allora io e mio fratello siamo allenati da Massimo Pegoretti che ci tratta come un padre».
Già, i fratelli, ben 6 oltre ai 2 cugini. Corrono anche loro? Nekagenet sì ed è in nazionale con me, predilige distanze leggermente più lunghe, fino alla mezza maratona, distanza che io invece non ho mai corso. Ora da quando siamo diventati professionisti entrando nel gruppo sportivo delle Fiamme Oro viviamo insieme a Trento dove abbiamo affittato una casa vicino alla pista d’atletica. Gli altri fratelli, che vanno dai 16 ai 26 anni, sono i nostri primi tifosi».
Un secondo oro europeo cambia la vita di un diciannovenne? Sono più fiducioso e credo di più in me stesso, ma sono sempre un ragazzo con tanti sogni per il futuro. Mi sono diplomato alla scuola alberghiera, ora faccio un corso d’inglese, ma nessun cambiamento epocale».
L’atletica italiana sta vivendo un momento difficile. Crisi di risultati e poche realtà vincenti. Sente la responsabilità? L’avverto, ma fino ad ora l’ho vissuta in maniera positiva. So che c’è tanta attenzione su di me, ma mi sento rappresentante dell’immagine dell’atletica italiana. È una grande responsabilità, ma non mi infastidisce, anzi un po’ mi carica e mi ci sto anche abituando».
Sta crescendo, ha terminato la categoria junior, ora gareggerà con i migliori al mondo. Pronto al confronto? Non ho nulla da perdere e tanto da imparare. Mi butterò come sempre nella mischia, come ho fatto già alla BoClassic il 31 dicembre dove sono arrivato dodicesimo alle spalle dei più forti campioni mondiali. E poi già da quest’anno voglio vestire la maglia azzurra assoluta ».
In quale occasione? «A luglio ci saranno i campionati europei ad Amsterdam. Voglio provare a qualificarmi nei 5000 metri, ma devo migliorare tanto e per guadagnarmi il posto devo fermare il cronometro almeno a 13’40', mentre io ho un primato personale di 13’58'. Sarà difficile ma già dal cross del Campaccio che correrò mercoledì darò il massimo. Farò esperienza cercando di arrivare almeno tra i primi dieci».
La parola doping è sempre più legata all’atletica italiana e mondiale. Tra i tuoi giovani avversari è diffuso il doping? Credo e spero di no. Io nell’ultimo anno ho corso tre campionati europei junior compreso quello in pista questa estate dove vinsi il bronzo e sempre sono stato sottoposto all’esame antidoping. Se ci saranno tracce di sostanze dopanti in avversari diciannovenni come me credo dipenda e sia colpa dei loro genitori, dirigenti o allenatori. Non voglio e non posso credere che un ragazzo possa arrivare a doparsi da solo».
Yeman Crippa dove deve migliorare per arrivare al sogno olimpico? «Fisicamente nella resistenza alle più lunghe distanze. Ora corro i 1500 metri, voglio eccellere nei 5000 o 10000 metri, ma serve migliorare tanto anche nell’aspetto mentale. Mi devo abituare a correre ad un ritmo più lento ma per più tempo. All’inizio lo vivevo quasi come una noia, ora inizio a divertirmi. Ma se saranno Olimpiadi sarà a Tokyo 2020, la vedo quasi impossibile per Rio».
Yeman Crippa si sente più italiano o etiope? «Italiano, senz’altro. Ma non dimentico le mie origini e a dicembre agli europei di cross mio padre mi ha abbracciato tenendo in mano sia la bandiera italiana che etiope. Un momento magico per me anche perché era la prima volta che mi veniva a vedere in una gara all’estero».