Agorà

L'iniziativa. Wiki Loves Monuments 2023: obiettivo sessantamila chiese

Alessandro Beltrami giovedì 31 agosto 2023

Il battistero di San Pietro in Consavia, Asti. La fotografia è stata premiata al Wiki Loves Monuments del 2012

Sessantamila chiese ed edifici religiosi in tutta Italia sono al centro della nuova edizione del concorso Wiki Loves Monuments, al via da domani fino al 30 settembre. Il progetto coinvolge ogni anno fotografi professionisti e amatoriali per documentare i monumenti italiani su Wikimedia Commons, Wikipedia e i progetti fratelli. Dal 2012 circa 8.750 partecipanti hanno caricato su Wikimedia Commons più di 180mila fotografie, scegliendo tra oltre 22mila monumenti e beni culturali fotografabili. Con il focus sul patrimonio religioso (non solo cattolico: è stata coinvolta anche l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) il campo di indagine compie un salto non solo quantitativo. “Cattedrali, chiese e anche semplici cappelle – fa sapere in una nota il Dicastero vaticano per le Cultura e l’Educazione, che ha concesso il proprio patrocinio all’iniziativa – connotano al punto tale il territorio italiano da apparire come una sorta di habitat, segno forte di una “esigenza di prossimità” della dimensione religiosa. L’importanza culturale ed estetica del patrimonio è certamente di rilievo assoluto, ma non lo esaurisce. Per quanto questi edifici testimonino una realtà storica e sociale ora in forte trasformazione, spesso nel presente restano il luogo dove prendono corpo la fede e la vita di una comunità e dove la comunità continua a identificarsi e a rinnovarsi. Il nostro augurio è che Wiki Loves Monuments, che nella dimensione partecipativa e nella libera condivisione è innanzitutto espressione di un rapporto affettivo e comunitario verso il patrimonio culturale, sappia raccogliere e raccontare questa densità composta di forme e di idee, di storie e di esistenze”.

La ragione per cui WLM ha deciso di puntare l’obiettivo sugli edifici religiosi è duplice, spiega Iolanda Iopensa, presidente di Wikimedia Italia: «C’è un motivo di carattere scientifico: i focus tematici ci consentono di lavorare su dataset di beni culturali omogenei. L’anno scorso il concorso riguardava castelli e fortificazioni, 5mila edifici, nel 2024 sarà la volta di musei, archivi e biblioteche. C’è poi il fatto che gli edifici di culto sono luoghi di comunità per eccellenza. E il coinvolgimento delle comunità è la chiave di tutto il progetto di Wikimedia».

La partecipazione al concorso è gratuita e aperta a tutti. Le immagini vengono caricate online con licenza libera CC-by-SA. È così da sempre, ma è un segnale importante in una fase in cui lo Stato ha imposto una stretta su circolazione e riuso delle immagini dei beni culturali pubblici, anche grazie a un discusso Tariffario che ha sollevato vivaci proteste, in particolare dal mondo accademico più qualificato. «Ogni anno il concorso ci ricorda quanto ancora ci sia da fare per rendere le foto di monumenti e opere d’arte veramente libere, accessibili e riutilizzabili da tutti» spiega Pensa. Ormai c’è una convergenza diffusa a livello scientifico (e non solo, come dimostrano le linee europee) verso i contenuti open access. «Il problema piuttosto è accettare cosa significhi davvero open access, che prevede anche la possibilità di accedere all’uso commerciale dei dati. Lo Stato italiano intende mantenere il controllo, preoccupato di cosa potrebbe succedere se questo gli scivolasse via. Invece è un intralcio solo a chi si muove nella legalità, mentre non ferma chi opera illeciti». Al centro c’è il concetto di “proprietà”: «Il principio della ownership è giusto, ma a livello internazionale ha come base il beneficio comune attraverso una gestione allargata, orizzontale. Gli open data si concentrano sui fair principles, ossia su reperibilità, accessibilità, interoperabilità, riusabilità dei dati, ora però si guarda a un ampliamento ai care principles, orientati alle persone e agli scopi. In Italia dopo anni di cammino comune si è reimposta invece una visione piramidale. Non è solo in conflitto con i principi del pubblico dominio, ribaditi dalla direttiva europea e in Italia diventati lettera morta, ma anche con la Convenzione di Faro, ratificata dal nostro paese nel 2020, che riconosce il contributo, decisivo, delle comunità».

C’è poi un fatto di scarsa funzionalità del sistema. Anche la Corte dei conti francese nel 2019 ha riconosciuto che la vendita dei diritti fotografici sulle opere dei musei nazionali, gestita dal RMN-Grand Palais, rappresenta una parte marginale delle risorse dei musei e, scrive, “ha un margine di sviluppo limitato, soprattutto alla luce delle sfide poste dall’apertura dei dati, che l’uso di Internet tende a favorire”. In Italia, dove la gestione della raccolta è demandata ai singoli, a fronte dei pochissimi che potranno ricavare introiti dai canoni sulle immagini, la maggior parte delle realtà si troverà oberata dalle procedure. «I comuni gestiscono una larghissima parte del patrimonio italiano, i più piccoli faticano a entrare in un meccanismo di autorizzazione. Lo abbiamo sperimentato direttamente con WLM, ed è grazie al sostegno dell’Anci che molte difficoltà procedurali sono state superate».

Perché l’Italia è tra i pochi paesi in Europa in cui non esiste ancora la libertà di panorama: a parte per un uso strettamente personale, la ripresa fotografica di edifici e luoghi pubblici andrebbe autorizzata dai comuni. Fino a due anni fa WLM procedeva attraverso una capillare richiesta di concessioni a canone zero: «La nostra volontà era mostrare che la raccolta di documentazione libera avveniva con l’appoggio degli enti. Dal 2022 con i concorsi tematici abbiamo deciso di passare a un regime di collaborazione a patrocinio e un sistema di opt-out, la richiesta di uscire dal programma. È una procedura “al contrario” che ha funzionato molto bene. Ma tutta la storia di WLM è positiva. Anche perché la maggior parte degli enti ha bisogno di creare dei database. Wikimedia offre un servizio riconosciuto, usato anche dalle istituzioni pubbliche a partire dallo stesso Ministero della Cultura. La protezione civile si avvale di OpenStreetMap. Raccogliamo, curiamo, aggiorniamo dati. Agiamo in chiave suppletiva. Ma soprattutto quello degli open data, immagini comprese, è un processo condiviso e generale. Ostacolarlo e rimandarlo significa fermare il paese in un processo che è globale e inesorabile».