TECNOLOGIA. Se il web ci trasforma «in persone frittella»
A esso fa eco il protocollo di un team dell’Università di Bonn che ha riscontrato una variazione nel gene CHRNA4 (coinvolto nella generazione della dopamina e al centro di stati di ansia e dipendenza dalla nicotina) in utenti problematici di Internet, soprattutto di sesso femminile. Con un rigurgito di lamarkismo internettiano, si paventano modificazioni irreversibili a livello genetico e neurale. A puntellare definitivamente il teorema accusatorio ha pensato poi l’attenta analisi sociologica. Un intero bestiario è stato scomodato per l’analogia graffiante. C’è chi, dopo le ricerche del neurologo Jaak Panksepp, paragona i navigatori estremi di Internet a quei topini che, scoperta la levetta che provoca lievi scariche elettriche nei centri cerebrali del piacere, si consumano nel cliccare senza requie. Al loro pari, gli internauti si trasformano in «fagottini pieni di gioia» artificiale, effimera, insensata. Altri preferiscono l’immagine dei polli d’allevamento: come questi, gli informivori (i divoratori di informazioni) si lascerebbero ingozzare con l’imbuto da Internet di dati e notizie, rinunciando volontariamente al salubre razzolare libero all’aperto. Kent Berridge solleva l’umiliante paragone con il cane di Pavlov: ogni segnalazione acustica o vibratoria di mail, sms, messaggi vari in arrivo lavorerebbe, nel nostro sistema di gratificazione, come il campanello del leggendario laboratorio di Medicina sperimentale di San Pietroburgo che provocava, condizionatamente, la secrezione delle ghiandole salivari nell’animale. E a non meglio identificati «animali dagli occhi duri e secchi» la scrittrice Remedios Zafra in Sempre connessi (Giunti, 2012) assimila i "seguaci" (follower) di Twitter e di ogni network, «esseri senza lacrime», deprivati, per non sottrarre tempo allo schermo, anche di quel batter di ciglia che rappresenta la distanza dalla notizia per poterla elaborare e acquisire. Questo conduce solo, come concorda Richard Foreman, permettendosi una variazione dalla zoologia al culinario, a trasformare l’umanità in «pancake people» (persone frittelle), piatte, sottili, prive di sostanza.
Se tutto questo si confermerà vero, o anche solo la metà, non ci dovremo meravigliare se, per premura dello Stato verso i cittadini o per auto-tutela delle aziende, un’etichetta in bella evidenza "Nuoce gravemente alla salute (psichica)" risalterà sulle confezioni dei computer, come su quelle delle sigarette. Forse, però, anche un certo eccesso di apprensione è frutto della psicopatologia della nostra vita quotidiana ai tempi di Internet. O forse è solo un retaggio del nostro arcaico istinto di sopravvivenza che, nella miriade di percezioni che ci tempestano, ci fa notare con più acutezza le minacce e i pericoli, anziché il buono. Freud, come epigrafe al suo celebre saggio, aveva scelto un verso del Faust: «L’aria or così di sortilegi pullula/ Che nessun più sa come li eviti». Sicuramente Goethe non parlava di Internet. E neppure Freud. Un omaggio al detto: «cambiano le parole, ma la musica resta la stessa». E uno, ancora più ossequioso alla massima: in medio stat virtus.