Agorà

Lirica. Wagner al fast-food e con i clown. Le provocazioni di Bayreuth

Giacomo Gambassi, Bayreuth mercoledì 7 agosto 2019

Il primo atto di “Tannhäuser” al Festival di Bayreuth (foto Nawrath/Bayreuther Festspiele)

Chissà che cosa penserebbe Richard Wagner vedendo il suo Tannhäuser che ruba i panini in un Burger King, che gira la Germania su un furgoncino Citroën vestito da clown, che finisce in cella dopo aver investito e ucciso un poliziotto? O della sua Venere vamp in pelle nera, accompagnata da una drag queen e da un nano, che fa irruzione con una scala da una finestra nel “Festspielhaus”, il teatro del Festival di Bayreuth, che srotola uno striscione di protesta sulla facciata e che piomba sul palcoscenico in mezzo a un’opera?

I puristi sostengono che il maestro si è rivoltato nella tomba della sua villa a Bayreuth, pensando che tutto va in scena a un chilometro dal sepolcro, sulla collina verde che ospita il teatro fatto costruire dall’irrequieta penna tedesca e che dal 1876 è il tempio della rassegna ideata dal genio romantico. Invece si può andare oltre certe ritrosie e dire che il nuovo allestimento di Tannhäuser, titolo d’inaugurazione del Festival 2019, firmato dal regista 39enne Tobias Kratzer è, sì, irriverente, provocatorio, libertino, ma intelligente, curioso e per di più divertente. Insomma da vedere. Per giustificare la sua impertinenza Kratzer si affida a una frase tratta dal saggio di Wagner Arte e rivoluzione che più volte compare sul palco e poi nello striscione all’ingresso del teatro: «Liberi di volere! Liberi di fare! Liberi di gustare!». Una libertà che nell’arte è rottura di schemi precostituiti (come testimonia l’eredità innovatrice del cantore di Sigfrido) ma nella vita, se è mal usata, può portare angoscia, dolore, persino morte: e almeno questo è il messaggio che lascia il regista tedesco.

Non è un caso che la cancelliera Angela Merkel, nota melomane e fedelissima della manifestazione, abbia assistito due volte allo spettacolo: alla prima del 25 luglio, tradizionale giorno d’apertura del Festival, e alla seconda rappresentazione, stavolta a sorpresa mescolandosi con il marito fra il pubblico. Temperature record all’interno del teatro che resta come nell’Ottocento: senza aria condizionata e con le scomode sedie in legno per non alterarne l’incredibile acustica.

Eppure non è Tannhäuser il capolavoro che va ascoltato in questa edizione. Fra le cinque opere in cartellone fino al 28 agosto la palma d’oro tocca a Lohengrin: noioso per la messa in scena con fondali blu simili a quadri (concepiti dagli artisti di Lipsia Neo Rauch e Rosa Loy), ma superbo per la vibrante e centellinata direzione di Christian Thielemann, una delle migliori bacchette wagneriane contemporanee. Pubblico in delirio per il cavaliere del cigno Klaus Florian Vogt, ruolo in cui eccelle, più consono del polacco (dal timbro mediterraneo) Piotr Beczala che lo scorso anno aveva esordito nella kermesse e che fa il bis in quattro repliche da oggi al 18 agosto. Sulla collina verde torna Annette Dasch, che si conquista la nomea di «sostituta della sostituita» per Elsa. Era accaduto alla Scala di Milano il 7 dicembre 2012. Avviene a Bayreuth dove la figlia del re di Brabante doveva essere Krassimira Stoyanova; poi è arrivata la finlandese Camilla Nylund, rimasta indisposta; così è toccato al soprano berlinese entrare in scena: parte rodata per lei e risultato più che accettabile.

Nella città della Baviera era attesa anche la prima di Anna Netrebko. Sarebbe stata Elsa per due rappresentazioni: il 14 e il 18 agosto. Ieri, invece, l’annuncio del forfait nei suoi profili social in cui parla di «stanchezza» e del «consiglio medico» di «tre settimane di riposo». Chi prenderà il suo posto? Tanto per cambiare Annette Dasch. Egregio il re Heinrich di Georg Zeppenfeld – fra i massimi bassi per questo repertorio – e intenso il Telramund di Tomasz Konieczny. La sola a non brillare è Elena Pankratova in Ortrud: troppo flebile.

L’incantesimo non si ripete con Tannhäuser. E sul banco degli imputati sale Valery Gergiev, il direttore russo al suo debutto a Bayreuth, accolto alla prima da contestazioni e fischi. Il suo approccio è piatto, incolore. Non regala emozioni benché l’orchestra suoni nel migliore dei modi. Risentono della sua impostazione i cantanti e persino il coro. Tuttavia Stephen Gould è un convincente protagonista: impegnato anche in Tristano e Isotta, si conferma una forza della natura per la voce senza incrinature, tormentata, passionale. Al suo esordio la 32enne norvegese Lise Davidsen, astro nascente del wagnerismo, nei panni di Elisabeth: ovazioni per lei quando cala il sipario. Le doti ci sono tutte; in buona parte anche l’interpretazione; ma talvolta la foga ha il sopravvento. Deciso e cristallino il Wolfram di Markus Eiche. Roccioso il Langravio di Stephen Milling. Spicca Ekaterina Gubanova, una Venere seducente ed energica: con un timbro a tratti duro, arriva al cuore del pubblico anche per una recitazione impegnativa e funambolica.

Così l’ha voluta il regista Kratzer che offre una lettura atipica di Tannhäuser. Il contrasto fra l’amore sensuale e quello “santo” che tormenta il trovatore e che è personificato da Venere ed Elisabeth diventa lo scontro fra la ribellione dai tratti underground (che sfuma nell’emarginazione) e la società ordinata. Un approccio favorito dalla decisione di eseguire la prima versione dell’opera, quella di Dresda del 1845: sono gli anni in cui Richard sale sulle barricate a fianco di Bakunin e viene colpito da un ordine di arresto che lo costringe a fuggire. Kratzer racconta di aver intravisto in Tannhäuser il Wagner rivoluzionario e «anarchico», spiega. Un’intuizione che lo spinge a farne un pagliaccio, conteso fra la scelta di seguire una carriera da artista al “Festspielhaus” (riprodotto nel teatro) e l’impeto a immergersi nell’universo borderline della combriccola di Venere, della travestita Gateau Chocolat e del nano Oskar, omonimo dell’“eroe” del Tamburo di latta di Grass. Una cricca che nel video sulle note dell’ouverture travolge con il camioncino un agente dopo il furto di hamburger e benzina al fast-food. Invece il monte di Venere assume la fattura di una mesta area di sosta, mentre il tentativo di riscatto del cantore passa dal Festival di Wagner dove recita Elisabeth e dove Tannhäuser entrerà dopo aver abbandonato i compagni girovaghi. Acuta la trovata di trasformare i pellegrini diretti a Roma dal Papa nei pellegrini di Bayreuth, gli spettatori sulle vie della possente mente di Lipsia.

Il secondo atto, quello della gara fra i cantori nel castello della Wartburg, ha come cornice lo stesso palco di Bayreuth. Diviso a metà: in basso una classica sala regale; sopra le videoproiezioni di ciò che accade dietro le quinte. Compreso il blitz di Venere & C. che riescono a raggiungere la ribalta finché la manager del Festival, Katharina Wagner, pronipote del compositore, non chiama la polizia che piomba sotto i riflettori.

Terzo atto trasferito in una discarica dove il protagonista torna in cerca di Elisabeth, una volta uscito di prigione. E la “pura” si taglierà le vene dietro un camper. Non per l’amato, però. E qui viene cancellato ogni rimando alla redenzione d’amore, centrale in Wagner. C’è comunque un difetto nell’allestimento: le continue bizzarrie distolgono in più occasioni l’attenzione dalla musica. Si è troppo presi dalla curiosità di capire che cosa succederà. Va bene che l’«opera d’arte totale» teorizzata dal maestro non è solo partitura e libretto, ma neppure può ridursi al caleidoscopio di singolarità sul palco.

Manca il coro della festa a Norimberga che segna l’ultima parte dei Maestri cantori? Beh, il pubblico può sostituirlo. Un pubblico (quasi) tutto di bambini che a sorpresa intona la partitura di Wagner. Accade in un hangar di Bayreuth che ospita l’“altro” palcoscenico della kermesse dove va in scena l’edizione 2019 del “Festival per i bambini”. A volere l’iniziativa la pronipote del maestro, Katharina Wagner, che da anni propone uno dei capolavori del genio romantico a misura di ragazzi: poco più di un’ora la durata (a fronte di tre, quattro o cinque ore degli originali), dialoghi alternati a musica, scene e costumi accattivanti, quasi fossero usciti da un fumetto.

Fedele al libretto l’allestimento dei Maestri cantori ideato da Dirk Girschik: con la bottega del calzolaio Sachs, la chiesa dei cantori, i vicoli della città. E divertenti trovate. Nel cast artisti scritturati anche per la rassegna: come Werner Van Mechelen (Sachs), Christiane Kohl (Eva), Armin Kolarczyk (Beckmesser) o Timo Riihonen (Pogner). A condurre l’Orchestra di Stato Brandeburghese di Francoforte sull’Oder l’ottimo Azis Sadikovic.



IL NUOVO "RING" NEL 2020 CON LO SCENOGRAFO ITALIANO COZZI


Intanto Bayreuth guarda al prossimo anno quando è prevista la nuova produzione del Ring (“L’anello del Nibelungo”), oltre diciotto ore di musica che comprendono L’oro del Reno, Valchiria, Sigfrido e Il crepuscolo degli dei. Katharina Wagner ha voluto un Ring “giovane”. Sul podio il 39enne Pietari Inkinen, la bacchetta “rivelazione” d’origine finlandese che guida l’Orchestra sinfonica di Praga, la Filarmonica di Tokyo e la Deutsche Radio Philharmonie e che ha già diretto l’intero ciclo a Melbourne. La regia è affidata al 30enne austriaco Valentin Schwarz. Nel cartellone anche un italiano: è Andrea Cozzi che firmerà le scene.