La storia. Alessandra Campedelli: «Il volley fa sognare le donne pachistane»
Alessandra Campedelli, 49 anni, allenatrice della Nazionale femminile di pallavolo del Pakistan
«Uno dei primi allenatori in oratorio ci diceva che bisogna essere il sale per gli altri e mettere a frutto i propri talenti. E io sto provando a farlo aiutando gli altri attraverso lo sport». Alessandra Campedelli, classe 1974, trentina, sta provando a mettere pratica quel consiglio in Pakistan, dove da qualche mese è il commissario tecnico della nazionale femminile di pallavolo. «Qui - racconta al telefono da Islamabad - sono arrivata a febbraio 2024 e dopo l’esperienza in Iran ho colto l’occasione che mi ha offerto la Empower Sports Academy, una fondazione creata da emigrati pachistani. Nel suo board c’è Giovanni Guidetti (attuale ct della Serbia ndr) che mi conosce e che mi ha proposto questa esperienza».
«All’inizio ammette - avevo rifiutato anche perché era un contratto a lungo termine e per me insegnante voleva dire chiedere aspettativa poi quando mi hanno spiegato perché volevano una donna, ho detto sì». In un Paese con una tradizione pallavolistica limitata Alessandra lavora cercando di seminare, non solo sul campo. «Ci alleniamo nel centro tecnico federale di Islamabad - spiega - facciamo due allenamenti al giorno, tre ore al mattino e due alla sera. Con me lavorano due assistenti locali, ex giocatori della Nazionale maschile, uno dei due mi fa anche da interprete dall’inglese all’urdu». «Le ragazze - prosegue la ct - vivono nell’ostello femminile che si trova vicinissimo dal centro di allenamento, ma per muoversi hanno bisogno di un’autorizzazione». Una situazione in cui Alessandra, che ha giocato ad altissimo livello a hockey su prato prima di scoprire la pallavolo, sta fronteggiando tante sfide, non solo sotto il profilo sportivo. «Dal punto di vista tecnico - dice - c’è un problema di base. In Pakistan le donne non sono introdotte alle sport da bambine, ma iniziano a 16-17 anni quando in Italia si gioca in Serie A. Per questa ragione spesso mi trovo ragazze fisicamente non strutturate. Da quando sono arrivata ho organizzato dei provini per ringiovanire la rosa, prima composta soprattutto da trentenni e ora basata su ragazze di 1819 anni». «Dal punto di vista umano- aggiunge Alessandra - mi sono trovata davanti a donne molto diverse dallo stereotipo che abbiamo noi. Sono persone sì fragili, ma che oltre ad essere estremamente diffidenti, sono molto determinate a difendere quello che hanno conquistato, anche a scapito delle altre. Per questo c’è molto da lavorare sul concetto di squadra».
Un lavoro, quello di Alessandra, più mentale che tecnico e fisico. «Qui non si tratta solo di insegnare i fondamentali- dice la docente- ma di entrare nella loro testa, di scardinare idee radicate, come quello che le cose non solo succedono, ma che si può farle succedere con le proprie azioni». L’obiettivo di Alessandra e del suo staff è a lungo termine. «Vorremmo porre delle basi - illustra l’allenatrice trentina che da domenica scorsa e fino al 16 giugno ha portato la Nazionale pakistana in Italia per una tournée - vorremmo convincere la Federazione a partire dalle scuole, a mandare lì dei tecnici formati per far iniziare prima le ragazze e far crescere così il movimento e la Nazionale che avrebbe un serbatoio più ampio da cui attingere».
«Una scelta di questo tipo - aggiunge Alessandra - avrebbe anche un impatto sociale. Il fatto che le ragazze possano cominciare a pensarsi anche come sportive, porterebbe già a un piccolo cambiamento, con lo sport capace di essere un agente di trasformazione sociale». Quella in Pakistan non è l’unica esperienza all’estero per coach Campedelli. Tra il 2022 e il 2023 l’allenatrice azzurra ha guidato le Nazionali femminile U17, U19 e senior dell’Iran. «È stata un’altra sfida – spiega - in cui ho utilizzato lo sport per provare ad abbattere le barriere, in quel caso di genere». Due mondi apparentemente simili, ma con tante differenze. «Rispetto al Pakistan- spiega Alessandra - sotto il profilo sportivo l’Iran era un altro pianeta. Lo sport è praticato dalle donne fin dalla scuola e con il gruppo della Nazionale ci siamo tolti tante soddisfazioni, come l’argento agli Islamic Solidarity Games e molte di loro ancora mi ringraziano per il lavoro che abbiamo fatto insieme. Con una selezione iraniana in Italia avremmo giocato tranquillamente tra A2 e A1».
«Dal punto di vista extrasportivo - aggiunge l’allenatrice - in Iran l’atmosfera era molto più oppressiva e c’era una maggiore ingerenza della politica. Le ragazze erano controllate strettamente su molti aspetti e le convocazioni erano influenzate da fattori esterni, con giocatrici escluse perché ad esempio non portavano correttamente l’hijab o si truccavano ». Esperienze, come quelle in Asia o anche come quelle da tecnico di settore giovanile o della Nazionale femminile sordi, che hanno lasciato un segno nell’allenatrice. «Non saprei dire quale sia stata la mia preferita- spiega – ma è stato un percorso, in cui come mi è capitato spesso nei momenti di difficoltà, ho deciso di uscire dalla mia comfort zone per cercare nuovi stimoli». «Di certo – conclude Alessandra Campedelli- ogni esperienza mi ha insegnato qualcosa. Ad esempio la consapevolezza che prima di giudicare bisogna conoscere, la capacità di leggere le persone e di ascoltare ma anche l’importanza di capire quanto, quando e come bisogna parlare alle persone». Tutte capacità che l’allenatrice sta mettendo in campo in Pakistan. Nel segno dei diritti.