Musica. "Voci da Hebron": in un'opera lirica profetica il canto oltre la guerra
Il compositore Cristian Carrara, autore delle musiche dell’opera “Voci da Hebron” in scena a Modena
Ha il significativo patrocinio di The Parents Circle – Families Forum, organizzazione di famiglie palestinesi e israeliane che hanno perso i propri familiari a causa del conflitto e che perseguono un processo di riconciliazione sognando una possibile pace duratura in Medio Oriente, l’opera lirica Voci da Hebron. Un lavoro profetico, se si pensa che è stato concepito e scritto dal compositore Cristian Carrara e dal librettista Sandro Cappelletto ben prima del fatidico 7 ottobre e di tutto ciò che ne sta tragicamente conseguendo. Coprodotto dall’Opéra-Theatre Eurométropole di Metz e dalla Fondazione Teatro Comunale di Modena, dopo il debutto francese a inizio febbraio, ieri sera ha visto con successo quello italiano (replica domani alle ore 15.30 sul palcoscenico modenese, per la regia di Paul-Emile Fourny). Un’opera a dir poco toccante, una storia nel contempo di drammatica contemporaneità e archetipica. Principale protagonista è un Vecchio che nello spettacolo è chiamato “lo Straniero” e rappresenta Abramo. È rimasto vedovo e ha il supremo compito di esaudire il desiderio della moglie Hannah: essere seppellita a Hebron, dove ci sono le tombe dei patriarchi dell’Antico Testamento, venerate oltre che dagli ebrei anche dai musulmani. Un compito arduo per lui, anziano. Lo Straniero appartiene e non appartiene alla situazione di conflitto, però vive lì da tanti anni e ha una particolare autorevolezza nei confronti di due ragazzi incontrati, la israeliana Ruth e il palestinese Mohammed, tanto da convincerli a fare questa cosa apparentemente assurda. Li aveva conosciuti al check point della martoriata città della Cisgiordania divisa in due, anche se lui vive in collina dove coltiva la vigna. Ruth e Mohammed si conoscono soltanto di vista: Ruth era lì di guardia e Mohammed doveva attraversare il varco. Voci da Hebron inizia con delle slide in cui si racconta la storia di sofferenza dei due giovani. Ruth ha perso il fratello in un attentato terroristico a Gerusalemme. Mohammed è invece arrabbiato con i soldati israeliani per le malversazioni che è costretto a subire ogni giorno e perché sa di non avere un futuro. «Questa loro condizione di fragilità li accomuna, pur nella profonda divisione sociale ed esistenziale - ci dice il compositore Cristian Carrara -. Al di sopra di questa lotta tra i due ragazzi c’è però il grande amore di una vita tra il Vecchio e sua moglie». Un amore che illumina la scena pur nella sua reale “assenza”. A un certo punto, ospite con Ruth nella casa dello Straniero la notte prima del viaggio funebre, Mohammed si chiede quanto deve essere stata bella Hannah (interpretata da Maria Bagalà) fino a tentare di scoprirne il volto. Lì Ruth lo richiama: guarda che stai profanando l’amore tra il Vecchio e sua moglie. È la miccia che fa esplodere il litigio tra i due giovani. Comincia così un confronto serrato, in cui escono tutti i profondi motivi di conflitto e di incomprensione.
«Una storia apparentemente piccola mette in campo dinamiche universali e scoperchia una questione sociale e geopolitica insolubile - spiega Carrara -. Il messaggio di Voci da Hebron è però, in sostanza, la necessità di una vera riconciliazione. Sottolineando come il contesto ambientale e storico sia ovviamente un enorme ostacolo alle relazioni. Nato prima dell’eccidio di Hamas dello scorso 7 ottobre, in corso d’opera è stato un po’ modificato il libretto soprattutto nella parte del litigio tra Ruth e Mohammed ponendo ancor più attenzione alle parole e al loro delicatissimo peso». Basti pensare alle tante polemiche e alle varie suscettibilità di questi giorni, persino al Festival di Sanremo. Dove peraltro Carrara era stato protagonista nel 2007 come compositore del brano Canzone fra le guerre cantato da Antonella Ruggiero. Un brano profeticamente attualissimo: l’invocazione di una madre affinché il figlioletto non debba vivere e crescere tra le bombe e la violenza.
A rendere ancora più significativo e simbolico questo lavoro c’è poi la presenza nel cast, nel ruolo di Ruth, del mezzosoprano israeliano Shakèd Bar, che vive a Gerusalemme e che non solo in scena ma anche nella realtà è stata soldato. Ma è ancor più curioso e simbolico che il direttore d’orchestra, Arthur Fagen (alla guida del’Ensemble della Filarmonica del Teatro Comunale di Modena), sia figlio di un ebreo salvato da Oscar Schindler. «È venuto apposta dagli Stati Uniti per dirigere sia a Metz che a Modena - svela Carrara -. Non poteva non rendere omaggio a suo padre. Un gesto di toccante sacralità». Dimensione del sacro che connota del resto l’intera opera. Culminando in un momento emblematico quando Ruth e Mohammed (il cantante David Tricou), la sera prima di iniziare il viaggio, sono ciascuno nella propria camera in casa dello Straniero (interpretato da Jean Luc Ballestra) e, prima lei e poi lui, intonano due canti sacri, in ebraico e in arabo. Finché le due voci si fondono una sopra l’altra, creando una toccante armonia. A sottolineare come due persone, nonostante siano in contrasto e non si ascoltino reciprocamente, possano unirsi nella sacralità del raccoglimento. Potere anche del canto e della musica, con la sua capacità di unire oltre le differenze e le barriere. «Un canto che vale più di tante parole. Con un finale necessariamente aperto. Non abbiamo voluto essere comunque buonisti - dice Cararra - laddove non pare proprio il caso di esserlo. Tant’è che l’opera si conclude con il Vecchio che decide di andarsene, lasciando ai due ragazzi il compito loro affidato. E rimane sospesa la loro domanda su come fare per vivere pacificamente assieme». Non c’è la risposta, se non nel riconoscimento dei due giovani di dover imparare tutto daccapo. Il Vecchio ha compiuto la sua missione. Ora tocca a quei giovani e al loro arbitrio. Per quanto assai condizionatamente libero.