Sabato alle 11 il Museo Etrusco di Viterbo ospita la presentazione di un nuovo progetto nell’alveo delle iniziative di "Egidio 17". Si tratta del restauro delle Scuderie della Rocca Albornoz, nella riconfigurazione dell’edificio operata da Bramante come residenza di Giulio II. Intervengono Enzo Bentivoglio, sui rapporti tra Egidio da Viterbo, Giulio II e Bramante mentre Simonetta Valtieri parla del restauro. L’occasione è legata ai 500 anni dalla morte di Bramante.Accendere il riflettore su quella che è stata, nel primo ’500, l’ecclesia
viterbiensis. Riscoprire il volto di una città non più solo centro medievale, ma come capitale del Rinascimento, recuperandone il passato di laboratorio per la
renovatio della Chiesa e degli uomini. Rintracciare i fili che legarono gli 'Spirituali' viterbesi desiderosi di un ritorno alla purezza evangelica e aperti alle istanze dei protestanti, senza misconoscere istituzioni e dogmi, ma pronti a riflettere sulle motivazioni e poi le conseguenze della frattura aperta da Lutero. Tornare ad alzare il velo sulle risposte a quelle idee da parte dell’Inquisizione Romana, il tribunale ecclesiastico istituito nel 1542. Rievocare, nelle cornici risparmiate dal tempo, atmosfere antiche animate da teologi e utopisti, pensatori ed eruditi, letterati e artisti. Sono questi gli obiettivi dell’ambizioso programma, annunciato a Viterbo nei giorni scorsi, che guarda al 2017, quando si ricorderà il V Centenario della Riforma protestante. L’intento è quello di legare a quell’appuntamento l’esperienza dell’ecclesia
viterbiensis, rivalutandone i protagonisti. Cominciando da Egidio da Viterbo: umanista noto per i suoi contributi al dibattito sul tema della grazia, il rapporto con i testi classici e lo studio della Kabbalah, nonché superiore di Lutero (agostiniano) quando dette il via allo scisma nel 1517. Sì, parliamo proprio di quell’Egidio Antonini, detto anche il 'Cicerone cristiano', il generale degli agostiniani che al V Concilio lateranense, parlando dei mali della Chiesa affermò «Gli uomini debbono essere trasformati dalla religione, non la religione dagli uomini» e che, come il confratello oltralpe, paragonò Roma a Babilonia. Non pochi autori riferiscono di incontri (che per altri storici sono solo probabili) tra Egidio e Lutero, a Roma, e nella stessa Viterbo. Se, ad esempio, Francis Martin, ne ricostruisce uno nell’Urbe con Lutero che, contrario all’unione degli 'osservanti' con i meno zelanti 'conventuali', avrebbe cambiato idea per obbedire a Egidio (sino a chiedersi cosa sarebbe successo se nella crisi del 1517 Lutero avesse trovato un rappresentante papale comprensivo come Egidio); Giuseppe Signorelli, invece, cita un incontro viterbese in occasione del Capitolo generale dell’Ordine, dove i due avrebbero parlato delle indulgenze, condiviso la denuncia sulla decadenza dei costumi, anche se poi Egidio, diversamente dal monaco tedesco, avrebbe continuato sempre a difendere Roma e il papato. Si pensi al suo scritto
Contra lutheranam sectam pro Sede Apostolica, con una condanna tuttavia non indiscriminata e che affronta le questioni della salvezza e della grazia ancorandole alla tradizione agostiniana. Quel che è certo, però, come ha sottolineato di recente Michael Wenicke, è che Egidio resta tra le figure rilevanti per Lutero al quale mai sfuggirono gli sforzi del Viterbese che Giovanni Paolo II definì «un segnale di speranza per la Chiesa del suo tempo». Ecco allora il senso di questo 'apparentamento', proposto dagli ideatori di 'Egidio17' (associazione fondata da un gruppo di ricercatori universitari, con un comitato di cui fanno parte, fra gli altri, Antonio Rocca, Luciano Osbat, Quirino Galli, Sofia Varoli, Gaetano Platania e l’agostiniano Matteo Mattei). Ecco, soprattutto, un’occasione per far luce su un periodo in cui Viterbo rappresentò uno snodo di destini piuttosto unico. Un 'crocevia' del quale ci parlano oggi chiese e palazzi, dipinti e affreschi, zibaldoni ed epistolari, o che resta celato fra i segreti di antichi manoscritti, di percorsi simbolici, di cicli iconografici ermetici. Un incrocio, ancora, dove, confluivano o si ramificavano, proposte che legavano una cerchia ristretta di uomini pubblici dalla forte dimensione religiosa. A tutto questo guarda 'Egidio 17', prefigurando convegni e valorizzazione di archivi; restauri di edifici come le Scuderie della Rocca Albornoz; nuovi studi e attribuzioni di opere conservate nel Museo del Colle del Duomo; nuove installazioni di artisti contemporanei da collocare nel centro storico; e persino l’inserimento delle Ville e dei Giardini della Tuscia nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. E ancora, spettacoli, teatro, festival… Insomma tanta carne al fuoco, e tre anni davanti. Nella speranza di far rivivere, insieme a Egidio, il pio cardinale e papa mancato Reginald Pole; un altro porporato come Giovanni Morone, la cui biblioteca offrì agli inquisitori parecchi spunti per i loro sospetti sulla sua adesione alle dottrine valdesiane; Marcantonio Flamini, che dopo la morte di Juan de Valdés, nel 1541, trasferì la scuola di pensiero del riformatore spagnolo a Viterbo; la marchesa e poetessa Vittoria Colonna; il suo amico Michelangelo, caso rarissimo di artista partecipe e interprete di un ambiente eterodosso; Vicino Orsini, il committente di quel Sacro Bosco oggi noto come Parco dei Mostri a Bomarzo. Ed altre figure di quella corrente di spiritualità cattolica, potente e raffinata, ansiosa di cambiamenti destabilizzanti e, per così dire, alla ricerca, di una 'terza via' tra le 'rigidità romane' e le 'intemperanze luterane' sino ad abbracciare quel moderno 'sogno ecumenico' dilatato anche fuori dalla Tuscia, tratteggiato da Eugenio Massa nel suo libro edito da Marietti
Una nuova cristianità all’alba del Rinascimento. Ricerca poi fallita con la condanna, da parte del Concilio tridentino, nel 1547, della dottrina luterana della giustificazione per sola fede. Sullo sfondo gli scontri fra Sant’Ufficio, papi, inquisitori, sospetti eretici. I doppi giochi e le ritrattazioni obbligate. Fra contraddizioni dottrinali e progetti politici, libero pensiero e difesa.