La storia. Quella coppia per 47 anni sulla montagna incantata. Eppure ora si scende
Quarantasette anni insieme fra le vette dolomitiche, in un rifugio senz’acqua corrente né luce elettrica, sepolto dalla neve d’inverno, corteggiato dai fulmini nei temporali estivi. Quarantasette anni insieme al Nuvolau, quota 2.575 metri, austero nido aggrappato al cielo sopra Cortina.
Mansueto Siorpaes e Joanne Jorowski, 77 e 74 anni, hanno raccontato a Repubblica la loro felice storia: conosciutisi in Canada, gestori per quasi mezzo secolo di quella spartana casa appesa a una roccia poco oltre il Passo Falzarego insieme hanno avuto tre figli, e condiviso un immenso amore per le Dolomiti. A fine marzo Mansueto e Joanne, i capelli candidi sul volto da lupi di montagna, passano la mano. Gli aspiranti successori al concorso del Cai, proprietario del rifugio, sono centinaia.
Il rifugio Nuvolau, sulle Dolomiti - WikiCommons
Che storia, questi due. Lei abitava a Vancouver, lui, maestro di sci, era andato a studiare l’inglese. Lei lo andò a trovare a Cortina, e non riuscì più a venir via. Mansueto Siorpaes (Siorpaes è un antico cognome di queste valli, gente delle cime, scalatori e guide alpine) già da ragazzo sognava il rifugio Nuvolau, il più antico delle Dolomiti: costruito nel 1883, distrutto nella Grande Guerra, che qui passò feroce e e sanguinosa, poi ricostruito nel ‘30. I due si sposano nel ‘73, e pochi mesi dopo, lui avendo vinto il concorso per la gestione, prendono possesso del loro nido.
Nido di aquile: arrampicato com’è sull’erto crinale del monte Nuvolau (che nome: come un quadrivio dove si diano d’abitudine appuntamento nuvole tempestose). Collegato col resto del mondo solo da una teleferica per le merci, il rifugio era la meta dei gitanti che lo raggiungevano, dalle Cinque Torri, non senza un po’ di sudore, sulla lunga salita. Ma, per premio, il paradiso: soltanto il cielo, attorno.
Chi percorreva l’Alta Via delle Dolomiti spesso dormiva qui, nelle camere spoglie che profumavano di legno. E la magia era quando, al tramonto, gli ultimi turisti se ne andavano a valle, e si restava in pochi. Nel ristorante allora si mangiavano canederli e frittata ai mirtilli, e si beveva rosso robusto. Ma, se ti affacciavi alla soglia, quel cielo immenso attorno, quelle stelle così straordinariamente vicine erano un pugno al petto. Tacevano d’improvviso allora le comitive di escursionisti, e ad uno ad uno rientravano, e si ordinava una grappa. Per ridere insieme - e per sedare quello strano turbamento del cuore.
Invece, Mansueto e la moglie decisero che avrebbero vissuto lassù. Soli, nei lunghi mesi senza nessuno. Le notti illuminate dalle candele, l’acqua piovana per lavare le lenzuola. Ma niente valeva, dicono, la Via Lattea sopra al tetto, e il volo regale delle aquile, e le orme dei camosci sulla neve, all’alba. Tre bambini vengono a colmare quel silenzio. Joanne e Mansueto per quarantasette anni lavorano duramente, e contemplano, e sanno a memoria le stagioni che si susseguono, puntuali. Lui, negli ultimi anni, le costruisce una seggiola, per stare a guardare l’alba senza stancarsi.
Giù a valle, il mondo cambia fino a essere irriconoscibile. Al Nuvolau, imperturbabili, si danno appuntamento, pesanti nella calura estiva, le nuvole più nere.
Non sarà facile, pensi, scendere dalla montagna incantata e rientrare in questo tempo chiassoso, vociante, involgarito. Ci si potrebbe sentire soli, ben più che fra quelle eremitiche cime. Ma i due, quanto straordinariamente sono rodati, dopo cinquant’anni. Cinquant’anni di notti sprofondate nel fiato della montagna, un silenzio assordante, se non ci sei abituato; un silenzio che pone, insistente, a ogni uomo una domanda.
C’è chi, dopo tre ore, scappa. Quei due, lì, per tutta la vita. Gente delle cime: eredi di pionieri delle rocce, uomini che per anni osservavano una parete, come innamorati, la studiavano, e infine la sfidavano.
Joanne e Mansueto tornano a valle. Potrebbe essere dura, in questo mondo di parole e pesi leggeri. Auguri: che la Via Lattea e le due Orse e la cintura di Orione, e le impronte dei camosci sulla neve candida siano così profondamente in loro ormai, che nessun rumore, nessuna parola vuota possa allontanarglieli dal cuore.