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Musica. Vinicio Capossela: «Nel mio “Bestiario d'amore” la canzone incontra il sacro»

Emanuela Genovese mercoledì 19 febbraio 2020

Vinicio Capossela mentre registra “Bestiario d'amore” a Sofia

L’amore, ne è convinto Vinicio Capossela, è un bestiario che imbestia le ore. Il suo è un universo musicale, un caleidoscopio narrativo, amoroso, orfico. Ci si perde nelle parole, ci si ritrova incastrati nel guazzabuglio delle rappresentazioni «bestiali» e si finisce per comprendere che le canzoni possono essere sempre nuove e sempre antiche.

Antiche lo sono perché traggono ispirazione da un testo del '200, il Bestiario d’amore del poeta Richard de Fornival, composizione che ricalca i bestiari medievali dove animali veri o fantastici rimandano a un simbolo, a un oltre, a una virtù per ritrovare la bontà esistenziale. Nuove perché la forma musicale si distanzia e diventa solitaria nell’esposizione del palcoscenico (il debutto de Il bestiario d’amore di Capossela è avvenuto il 14 febbraio nello spazio londinese della Union Chapel) o orchestrale quando dal prossimo venerdì inizieranno le prime tappe del tour italiano.

«Il bestiario d’amore di Richard de Fornival – racconta Capossela – supera i bestiari medievali e li trasforma in un’allegoria dell’amore, che non è oggettivamente misurabile. Il mio bestiario d’amore è un’opera composta da soli quattro brani di ambientazione trobadorica che conclude il viaggio dell’album Ballate per uomini e bestie per affrontare l’ultimo e il più grande dei misteri della natura umana: l’amore, la prima esperienza che rende consapevoli del nostro grado di finitezza. Non si basta più a sé stessi. L’amore appartiene al mondo della verità, più che della realtà».

C’è quindi nella sua poetica una differenza tra verità e realtà?

«Nel Vangelo c’è un momento meraviglioso quando Pilato chiede a Gesù: "Cosa è la verità?" e Gesù tace. Alla domanda sulla verità Cristo risponde con iI silenzio. Nella cultura popolare si dice che quando uno muore va al mondo della verità, che è semplicemente il mondo della soggettività perché ha a che fare con la poesia, con qualcosa che non spiega ma evoca, con la fede, con il mito, con quello che trascende il tempo della decadenza e della morte. Oserei dire che c’è un ulteriore collegamento con il Vangelo: Cristo viene sacrificato sulla croce. Il sacrificio è una delle caratteristiche dell’amore, perché rende sacro qualcosa, lo sottrae alla profanazione e quindi all’uso».

Perché proprio ora Il bestiario d’amore di Richard de Fornival?

«Volevo evocare, attraverso la musica, più che con la canzone, ogni animale che è un enigma, che ha relazione con il sacro. Nel 2013, dopo un lutto, mi sono ritirato in un paese dell’Irpinia, lontano dalla città, in un luogo ideale per fuggire alla dittatura dell’attualità. I miei dischi sono di lunga gestazione e in questo contesto è nato, come erano nate le Ballate per uomini e bestie, il Bestiario. Per una settimana sono rimasto chiuso a casa per lavorare sul testo che, musicalmente, era informe. Volevo che i suoni potessero citare i singoli animali. Ho preso contatto con l’Ensemble Micrologus, un gruppo di musica antica e durante il festival di filosofia di Modena, abbiamo elaborato una lettura del Bestiario d’amore finché Stefano Nanni, un artista con il quale collaboro da tempo, ha realizzato un lavoro di orchestrazione, per far risaltare timbri e contrabbassi, scegliere le famiglie di strumenti per ciascun animale evocato. L’abbiamo registrato a Sofia con l’Orchestra sinfonica della radio bulgara e poi abbiamo affidato l’animazione dell’album a Elisa Seitzinger, un’illustratrice che lavora sulle figure bidimensionali medioevali con uno stile contemporaneo. E infine abbiamo registrato altri due canti accessori, La Lodoletta e Canto all’alba».

Nei suoi precedenti testi, ad esempio Cos’è l’amore e Con una rosa, parla dell’amore come di una ricerca quasi attiva, ma ne Il bestiario l’amore sembra essere un desiderio che si subisce e del quale si subiscono le conseguenze.

«La differenza sostanziale tra le canzoni è il punto di partenza. Ogni testo restituisce voce alla propria esperienza, alla propria biografia. Con una rosa, ad esempio, è anche un brano mediato dall’opera letteraria, L’usignolo e la rosa di Oscar Wilde, una fiaba amarissima presente nella serie Il principe felice e altri racconti. Devo citare, però, una delle più belle frasi di Wilde presente nelle sue lettere: “Cristo non è venuto per salvare ma per insegnarci a salvarci l’un l’altro”. Rispetto a decenni fa, canto un amore “dotato” di altri strumenti, che va oltre gli ingombri dell’ego, che investe l’intelligenza. L’amore, per me, è un linguaggio molto più evoluto e si libera, con il tempo, dalle necessità».

Per i suoi concerti sceglie sempre luoghi quasi intimi, a stretto contatto con lo spettatore.

«Credo che il luogo sia una scelta artistica ben definita. Il teatro è una zona di elezione per tutte le suggestioni, perché lì la nostra immaginazione lavora e si annullano le barriere tra il cantante e lo spettatore. Prediligo quei luoghi, non solo teatrali, ove spente le luci si generano, come un flusso naturale, l’attenzione, l’energia e la sospensione dell’incredulità».