Il libro. Viaggio nella terra ferita del Singal per ascoltare le voci degli yazidi
Sopravvissute davanti ai ritratti di persone scomparse o uccise nel genocidio yazida a opera dell'Isis, nel 2019, quinto anniversario
Le acque placide del Tigri, che custodiscono il Dio del tempo, le montagne sacre, punteggiate di templi bianchi a forma di cono. È l’antica terra del Singal, nel nord del Kurdistan iracheno, al confine con la Siria: un universo di credenze ancestrali, tramandate per secoli da uno dei popoli più indecifrabili e perseguitati della storia, sopravvissuto alla modernità ma decimato dalla ferocia degli integralisti islamici del Daesh. In questo universo si è immersa la giornalista toscana Sara Lucaroni, che in La luce di Singal (People Storie, pagine 176, euro 16,00) racconta il viaggio nella comunità yazida all’indomani del genocidio che il 3 agosto 2014 ridusse schiavi 6.300 tra donne e bambini e annientò altrettanti anziani e uomini perché “idolatri”, senza troppe speranze, ancora oggi, che giustizia sia fatta. Il libro ha avuto una gestazione lunga, e vede la luce significativamente nel decimo anniversario dell’attacco del Daesh alla conquista della Siria in piena guerra civile, del Sinjar e della piana di Ninive.
Lucaroni inizia il suo racconto, che è a metà tra reportage e diario, documento di denuncia e testimonianza, da una telefonata ricevuta da un numero sconosciuto, con un prefisso dell’Iraq, nell’ottobre 2014. All’altro capo del telefono c’è un giovane combattente della resistenza yazida, che l’ha contattata tramite un amico comune. «Servono scarpe più calde per i bambini, siamo in montagna al freddo, non abbiamo più nulla, potete fare qualcosa voi dall’Europa?».
Quell’appello scuote il cuore della cronista, tra le poche in Italia a raccontare, sulle pagine di “Avvenire”, ciò che stava accadendo a quella minoranza religiosa. Nel 2015 organizza il suo primo viaggio: da sola, ospite dell’uomo che le telefonò e della sua famiglia, perlustra il territorio del Singal, vede i segni delle fosse comuni, prende nota dei racconti di chi è stato separato a forza dalla propria moglie, madre, sorella, diventa lei stessa figlia di quella comunità pacifica, accogliente, legata ai suoi particolarissimi riti e su tutto al suo Dio-Angelo dalle sembianze di pavone.
Il libro è la testimonianza di quegli incontri, di un viaggio in una terra ferita che diventa anche una scoperta di sé, della propria personale resistenza al racconto della persecuzione e dell’ingiustizia. Ne La luce di Singal c’è la Storia, quella “grande” della deportazione e della resistenza, dei 250mila yazidi sfollati nei campi profughi che solo ora stanno rincasando tra le macerie di Sinjar e Ninive. E poi ci sono le storie, soprattutto di donne: le bambine vestite alla foggia yazida, diversi strati di magliette colorate una sull’altra, che offrono la loro genuina amicizia alla giornalista venuta dall’Europa, tra le poche a ricordarsi del loro popolo, e poi le vittime del Daesh, le cui voci sono una terribile testimonianza dell’orrore che si consuma in ogni guerra sulla pelle delle donne: rapite e vendute, oggetti da usare e buttare. Il libro di Lucaroni si legge con partecipazione ed emozione, con la consapevolezza che la conoscenza e la memoria di quello che è accaduto è la prima condizione della giustizia. Che per il popolo yazida è solo all’inizio.