Archeologia. Viaggio dal Po al Vesuvio: l'Italia che parlava etrusco
“Testa di giovinetto”, bronzo, 330 a.C. circa
Specialistica e per il grande pubblico. Con i suoi 1.400 oggetti provenienti da 60 musei e ed enti italiani e stranieri, la mostra “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” (catalogo Electa) offre ai visitatori un chiaro, avvincente e aggiornato racconto della civiltà etrusca, anche alla luce delle tante scoperte e novità che in questi ultimi decenni sono emerse, sia dalla ricerca sul campo e sia dai depositi dei musei. Allestita fino al 24 maggio a Bologna al Museo Civico Archeologico a cura di un comitato scientifico composto dallo staff direttivo del museo e da Elisabetta Govi e Giuseppe Sassatelli dell’Università di Bologna, la mostra ha uno sviluppo che segue il filo conduttore del viaggio, secondo un’attitudine che, soprattutto nella prima metà dell’Ottocento, ebbe molto a che fare con la fascinazione degli Etruschi. Un popolo conosciuto attraverso il contatto diretto con le terre che aveva abitato, con le peculiarità fisiche e culturali dei diversi siti e dei diversi distretti, talvolta nell’immediatezza delle scoperte e nel contatto diretto con gli scopritori.
Non esiste, infatti una sola Etruria, ma molteplici territori che hanno dato esiti di insediamento, urbanizzazione, gestione e modello economico differenti nello spazio e nel tempo, tutti però sotto l’egida di una sola cultura e della storia di un unico popolo che ha abitato il vasto territorio compreso tra la pianura padana del Po fino alle pendici del Vesuvio. Così che il progetto espositivo tratteggia il ritratto degli Etruschi (o Rasna come chiamavano se stessi) con la nascita delle città e la loro strutturazione sia politica che urbanistica; l’artigianato, la produzione artistica, i commerci e le relazioni culturali; la ritualità funeraria; il rapporto con le altre realtà dell’Italia antica.
L’allestimento è caratterizzato da una prima parte introduttiva che attraverso l’utilizzo di diversi colori distingue le fasi principali della lunga storia etrusca dall’età villanoviana fino alla romanizzazione: si parte dalle “Origini” (IX secolo a.C.) e si continua con “L’alba della città” (fine del IX secolo - terzo quarto dell’VIII secolo a.C.), “Il potere dei principi” (ultimo quarto dell’VIII - inizio del VI secolo a.C.), “Una storia di città” ( VI - V secolo a.C.) e la “Fine del mondo etrusco” (IV - I secolo a.C.). Di ogni periodo, che è raffigurato con elementi architettonici tipici (capanna, palizzata, tumulo, tempio, tomba rupestre), vengono presentati oggetti e reperti che testimoniano i costumi e la cultura del tempo: le semplici forme dei vasi biconici degli albori della storia etrusca sono affiancate dalle tombe che portano i primi segni di differenziazione sociale e le prime importazioni dal bacino del Mediterraneo, indice della creazione di una solida rete di scambi. Poi, con il tempo delle aristocrazie che amano autorappresentarsi potenti, ricche e guerriere, si assiste alla nascita delle città, esemplificate dai templi e dalle loro decorazioni architettoniche, espressione di un potere unitario e urbano.
Si registra, inoltre, il fiorire di una ideologia funeraria che guarda al mondo greco e si avvale di oggetti di straordinaria bellezza, come quelli provenienti dalla Tomba delle hydriae di Meidias e si può ammirare la ricostruzione degli apparati decorativi di una tomba dipinta, grazie alle copie ottocentesche della tarquiniese Tomba del Triclinio. Il racconto dell’ultima e più ampia parte della mostra è dedicato alle principali realtà etrusche che, introdotte da portali immaginari, conducono il visitatore dapprima nell’Etruria meridionale dove si possono ammirare, tra l’altro, la Tomba della sacerdotessa proveniente da Tarquinia e la Tomba dello scarabeo dorato da Vulci, per proseguire nell’Etruria campana, terra complessa e ricchissima, da cui provengono corredi funerari principeschi.
Dall’Etruria interna, quella attraversata dal Tevere, arriva in mostra una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi anni: il Fanum Voltumnae, santuario proveniente dalla città di Velzna, come gli Etruschi chiamavano Orvieto. E mentre l’Etruria settentrionale fornisce alcune tra le novità più interessanti della mostra quale quella rappresentata dal “Deposito delle armi” rinvenuto sulla spiaggia di Baratti ( V-IV sec. a.C.), l’Etruria padana fornisce i rinvenimenti eccezionali della necropoli delle tombe di via Belle Arti a Bologna, la Felsinea etrusca che le fonti antiche chiamano Princeps Etruriae per sottolinearne l’importanza e la nascita antichissima.