DIBATTITO. Via Rasella divide ancora
Antonella, Emira, Isabella, Massimo, Ornella e Vito, nipoti del maggiore Antonio Ayroldi
LA REPLICA - È segno di rispetto versochi combatté per la libertànon aver paura della veritàAbbiamo iniziato il nostro articolo ricordando come "Fosse Ardeatine" siano "due parole sacre" per ogni italiano; e lo abbiamo dedicato quasi tutto al maggiore Antonio Ayroldi ricordandone il coraggio e l’eroismo (e ce lo attribuiamo a merito esplicito, dato che il suo profilo è stato dimenticato, ad esempio, dal Dizionario biografico degli italiani che pure ha dedicato voci ad altri esponenti della resistenza romana, poi fucilati alle Fosse Ardeatine, come Pilo Albertelli). Abbiamo doverosamente riportato (in una sola frase) la testimonianza scritta di chi, Vittorio Claudi, aveva nascosto ebrei e partigiani e che ricordava "perfettamente" quel manifesto con l’invito ai responsabili dell’attentato di via Rasella a costituirsi; manifesto che, a quanto pare, non è stato ricordato solo da Claudi (vedi su Avvenire del 19 marzo la testimonianza analoga di un illustre docente dell’Università di Padova, allievo romano di Santoro Passarelli in quegli anni drammatici); abbiamo escluso le testimonianze politicamente ed emotivamente sospette che già da anni denunciavano l’esistenza di quel manifesto. E quando – nel merito – ci si obietta che potrebbe essere stato diabolicamente affisso dopo la rappresaglia delle Ardeatine, ebbene, avremmo l’ennesima prova comunque dell’esistenza e affissione del manifesto. Perché dunque per decenni ne è stata graniticamente negata l’esistenza? Diverso il discorso sulla sua efficacia (fu visto in tempo? Sarebbe valso ad evitare la rappresaglia se i gappisti si fossero consegnati?), oltre che sulla drammatica scelta tra un dovere morale di consegnarsi o di continuare la lotta armata mandando a morire oltre trecento ostaggi ecc. Ma continuare a negare, anche in affanno, qualsiasi ipotesi di esistenza e affissione di questo manifesto, non giova; anzi, dinanzi alle prime voci e testimonianze contrarie, quella negazione ha dato la stura ad ogni sospetto, anche fantasioso, e provocato reazioni vieppiù irritate e irragionevoli. Così come non giova arroccarsi dinanzi a documentazione nuova (da considerare sempre con cautela, come del resto abbiamo esplicitamente detto) che certo non può spostare valori e ideali, ma magari aiutare a vedere meglio e, presuntuosamente, a sapere qualcosa di più, come nel caso proprio del maggiore Ayroldi. Francamente dispiace, anche se non stupisce, che un radicato pregiudizio ideologico impedisca di comprendere che parliamo la stessa lingua; non ce ne sentiamo responsabili.Paolo Simoncelli
LA LETTERA/2 Teresa Bentivegna: «Quel manifesto ci fu: chi lo nega mente, e lo sa»Ho seguito con molto interesse su Avvenire gli articoli su via Rasella e sul manifesto contestato (c’è stato, non c’è stato) e il documento lasciato dal dottor Vittorio Claudi, che ne ricorda l’affissione in piazza Verdi, e gradirei che il suo giornale mi desse la possibilità di dare il mio modesto contributo alla verità su quella tragica pagina della nostra storia. Sono Teresa Aguglia Bentivegna [seconda cugina di Rosario Bentivegna, ndr] e al tempo dell’attentato ero solo una bimbetta di tre anni, per cui non posso e non ho infatti alcun ricordo dell’accaduto. Ma, crescendo, ho da sempre sentito raccontare dai miei, con pena sofferta, il racconto dell’attentato e l’eccidio tedesco che ne seguì come rappresaglia. Dico con pena sofferta da parte dei miei, perché il nome dell’attentatore è sempre stato noto alla mia famiglia (allora residente in Sicilia), così come era da sempre noto che il comando tedesco lanciò un ultimatum, tramite manifesti, affinché l’esecutore, o gli esecutori, si presentassero. In caso contrario sarebbero stati fucilati dieci italiani per ogni soldato tedesco morto. Nessuno si presentò, e 320 italiani innocenti pagarono per quella bomba esplosa al passaggio dei soldati del battaglione Bozen che attraversavano via Rasella. L’autore dell’attentato per quel gesto fu insignito di diverse onorificenze, e qualche anno fa la Cassazione ha classificato il suo gesto come missione (o atto) di guerra. A mio parere, il documento del dottor Claudi non fa altro che convalidare ulteriormente una verità che moltissimi hanno sempre saputo. Chi ha negato in tutti questi anni l’esistenza di quel manifesto, evidentemente lo ha sempre fatto in perfetta malafede, mentendo e sapendo di mentire.Teresa Aguglia Bentivegna, Roma