Si torna con entusiasmo, in queste settimane, a parlare di Via Francigena. La cosiddetta "Francigena" (cioè la via che veniva dalla Francia o che vi andava, e sulla quale transitavano i pellegrini franci, vale a dire "ultramontani") era in realtà un fascio di sentieri che si riuniva solo in certi punti obbligati – passi montani, ponti, guadi, sorvegliati regolarmente da ospizi – e che, dalle Alpi occidentali attraverso Val d’Aosta e Piemonte, giungeva fino a Roma per proseguire da lì, prevalentemente seguendo i tracciati delle antiche vie consolari Appia e Traiana, fino ai porti pugliesi.In realtà, si trattava del tratto italiano dell’itinerario – percorso da pellegrini: ma non soltanto da loro – che collegava nel Medioevo i massimi centri di pellegrinaggio – le città-santuario di Santiago di Compostela, di Roma, di Costantinopoli e di Gerusalemme – raccordandoli attraverso un capillare sistema di itinerari e diverticoli "minori" ad altri santuari, centri di culto soprattutto (ma non solo) mariani e micheliti. Trattarla da "itinerario" rigido, come se si trattasse di una strada romana o di una moderna autostrada, è pertanto assurdo: bisogna ricorrere al concetto di "area di strada", elaborato anni fa dal grande medievista piemontese Giuseppe Sergi, per rendersi conto della sua importanza territoriale che interessava per intero le regioni attraversate. Ma né Sergi, né altri studiosi competenti (e la competenza dei quali è verificabile dal loro magistero universitario pubblicamente garantito) sono mai stati interrogati – se non episodicamente – dai politici e dagli "operatori massmediali" che da anni ormai si occupano di Francigena e che si sono letteralmente spartiti, fagocitandoli e disperdendoli, montagne di denaro pubblico quasi sempre in spregio alla storia e alla fede, favorendo magari agriturismi, albergatori, produttori di specialità alimentari e teatranti; e dimenticando altresì i veri sodalizi di autentici pellegrini, che ci sono ancora e che percorrono numerosi a piedi o in bici quella strada, spesso male o per nulla segnalata (a Monteriggioni in Toscana esiste un deposito di cartelli indicatori, costosissimi e mai collocati nelle loro sedi viarie). L’esempio della straordinariamente saggia ed efficiente organizzazione del Cammino di Santiago in Spagna non è stato quasi per nulla seguito. Di questo e di altro si parlerà nel pomeriggio del 30 novembre a Roma, nella Sala del Carroccio del Campidoglio, durante un convegno a chiusura di una mostra storico-didattica sul pellegrinaggio organizzata dal Comune di Roma. Si sfaterà così – e, auguriamocelo, una volta per tutte – la stupida leggenda (riportata da quasi tutte le guide turistiche) secondo la quale la Via Francigena comincerebbe da Canterbury. Com’è nata la bislacca diceria? Va premesso che in effetti Canterbury fu e resta, dalla fine del XII secolo, una grande sede di pellegrinaggio: se ne sono ricordati il Chaucer dei
Racconti di Canterbury e lo Eliot di
Assassinio nella cattedrale. Nel santuario inglese si venera la tomba di san Tommaso Becket, fatto uccidere da re Enrico II per la sua fedeltà alla Chiesa. Ma la Francigena non ha con ciò nulla a che vedere. Il fatto è che da Canterbury partì in pieno X secolo il suo vescovo, Sigerico, per andar pellegrino a Roma: e della sua esperienza ci ha lasciato un dettagliato diario dal quale si possono ricostruire le tappe dell’itinerario seguito. Un fortunato documentario della Bbc di alcuni anni fa ne ricostruì il viaggio. Di esso s’impadronirono il provincialismo e la disinformazione degli italiani: in quanto il tracciato della Francigena a quel tempo esisteva già e proveniva dalla Galizia, quindi dalle Alpi occidentali: Sigerico, penetrando nella penisola dalla Lombardia, lo raggiunse soltanto a Piacenza, dov’esso varcava il Po. Molte altre fonti c’informano con ricchezza di particolari su tutto ciò. Ma nulla: guide turistiche, politici e amministratori locali, produttori di vino e di pecorino e ohimè parecchi parroci continuano a spacciare la balla del povero Sigerico, reo solo di aver percorso la sua strada. Allo stesso modo, si esaltano ipertrofizzandole le testimonianze legate alla Francigena dimenticando ch’essa era parte della grande civiltà del pellegrinaggio medievale, una delle prove più profonde e più forti delle radici cristiane dell’Europa. E si parla di strade e di tappe dimenticando o sottovalutando la vita quotidiana del pellegrino, la sua fatica, le sue paure, gli stenti e i pericoli affrontati su un cammino ch’era anzitutto di penitenza. Qualche furbo operatore turistico ha di recente proposto una 'via dei sapori' del pellegrino, nell’intento di meglio smerciar vini, olio, formaggi e salumi. Come se il pellegrinaggio fosse stato una passeggiata: e come se il povero pellegrino cristiano non avesse dovuto accontentarsi. Come se il pellegrinaggio fosse stato una passeggiata: e come se il povero pellegrino cristiano non dovesse accontentarsi se non di qualche povera zuppa e d’una tazza di vino inacidito, così come il suo fratello musulmano pellegrino dello haj si adattava a un pugno d’uva secca e qualche dattero. Bisognerebbe, a non dir altro, replicare ai furbastri gourmet facendo una storia olfattiva del pellegrinaggio: descriverne gli odori, gli afrori, le puzze. Chi come me ha percorso più volte a piedi il Cammino di Santiago conosce il santo tanfo degli ospizi lungo la via: quello del sudore, delle camicie stese ad asciugare, dei maleolenti scarponi, dell’acre e pungente unguento per le piaghe dei piedi che spesso tendono a suppurare. La strada, quella vera, puzza: altro che balsamica aria di boschi, di passi montani, di freschi ruscelli! A purificar quell’aria viziata dai santi ma poco puliti pellegrini, funzionava di continuo nella cattedrale di Santiago il grande incensiere oscillante, il Botafumeiro. Ditelo a quelli che oggi si godono il "turismo religioso" sui pullman di lusso, accessoriati e con aria condizionata. Pellegrini a Burgos, lungo il Cammino di Santiago.