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Ambiente. Westerman: «L'ecologia è una cosa seria, ma se è ideologica può fare danni»

Eugenio Giannetta sabato 4 febbraio 2023

Picchi di marea, acque alte, piogge improvvise. Temi di attualità, che trovano ulteriori risvolti in storie di ambiente e grandi opere, così come in speculazioni, miti di progresso e giustizia ambientale. Tutte chiavi per leggere il mondo contemporaneo fornite da Frank Westerman, ingegnere di formazione convertitosi al giornalismo e oggi conosciuto come uno dei più importanti scrittori contemporanei olandesi, tradotto in 17 lingue. Frank Westerman torna alle origini, con un reportage letterario intitolato Dittico idraulico. Venezia, Vajont e Il sorriso del salmone (pagine 94, euro 14), pubblicato da wetlands, progetto editoriale dedicato ai temi e alle sfide dell’antropocene, con una proposta editoriale capace di muoversi tra fiction e non-fiction, promuovendo testi di carattere ambientale, urbanistico, sociale, antropologico e culturale. Il libro di Westerman racconta i destini paralleli della diga del Vajont e del Mose di Venezia, affiancandoli alle storie di due dighe francesi della Normandia, il cui abbattimento consentirà ai salmoni di tornare a risalire il fiume Sélune. Ne abbiamo parlato con lui, partendo dai tentativi dell’uomo di padroneggiarne i flussi, nonché da quell’osservatorio che racconta tensioni e conflitti sociali che le grandi opere catalizzano.

Si può dire che i suoi testi parlino di acqua e grandi opere come finestre per leggere il mondo contemporaneo?

Le piccole storie dovrebbero sempre rappresentare quelle più grandi. Mi piace prendere un granello di sabbia e immaginare un deserto. O, nel caso di Dittico idraulico, vedere l’oceano che si specchia in una goccia d’acqua. Il personale e il particolare riflettono il generale e l’universale, almeno questo è ciò che cerco di fare nei miei scritti.

Come è nata l’idea? Come ha costruito questo libro?

È nato alla Ca’ Foscari di Venezia, dove sono stato invitato come scrittore in un progetto annuale poco prima della pandemia. Dovevo insegnare il reportage come forma d’arte agli studenti. Ho pensato che avrei dovuto mettere in pratica ciò che predicavo e ho iniziato a lavorare a “una storia di due città”, o meglio, a “una storia di due dighe”: Mose e Vajont. Entrambe le costruzioni rappresentano lo sforzo umano di pensare in grande, di sognare e creare, di costruire e, allo stesso tempo, di imponenti opere idriche che a un certo punto si rivoltano contro i loro stessi creatori.

Gli investimenti economici in grandi opere crede siano un’opportunità?

Credo che noi esseri umani, come il castoro, siamo una specie che ricrea costantemente la natura. Ma a differenza del castoro, inquiniamo, roviniamo e cambiamo anche il clima del pianeta. Quindi intervenire sulla natura non è di per sé una cosa negativa, ma dovremmo pensare a chi e a quale scopo. Dovremmo pensare alla scala e alla (ir)reversibilità prima di iniziare un progetto di ingegneria.

Quali sono i rischi? Nel suo libro lei dice per esempio che le grandi opere catalizzano tensioni e conflitti sociali.

Nikolaj Gogolj, in uno dei suoi racconti classici, fa una distinzione tra “project” e “projet”, quest’ultima parola francese pronunciata in modo affettato, prendendo in giro gli ingegneri russi pre-sovietici che parlavano delle loro grandiose visioni, usando la parola francese. Più tardi, all’università, abbiamo imparato che enormi opere idrauliche megalomani potevano dare origine a leader dispotici.

Nel libro parla di speculazione e di lotte per la giustizia ambientale. Come stanno le cose oggi?

La storia di Il sorriso del salmone in Dittico idraulico è un reportage dove dalla fenomenale baia di Mont Saint-Michel risale un piccolo fiume chiamato Sélune. In nome del salmone atlantico, che utilizza le parti alte del fiume per riprodursi, un nuovo movimento ecologico è riuscito a far fuori due centrali idroelettriche. Così due dighe e due laghi sono scomparsi, dopo una vita di circa un secolo, e da quest’estate i pesci possono migrare liberamente. Ma gli aspetti negativi sono colossali. Accompagno i miei lettori lungo la valle e racconto la resistenza: quasi tutti gli abitanti (il 98% secondo un sondaggio) lungo le rive del fiume non volevano che le dighe fossero abbattute, i laghi svuotati. Amavano il paesaggio così com’era. Amavano l’energia pulita e rinnovabile delle centrali elettriche. Erano arrabbiati perché i giovani attivisti “verdi” erano riusciti a imporre la rinaturalizzazione del loro fiume.

Parliamo di alluvioni. Nelle Marche c’è stata mesi fa una tragedia improvvisa. È stato un evento meteorologico estremo, l’ennesimo degli ultimi tempi. Quale messaggio ci manda la natura?

Come nel caso del fiume Sélune: senza le sue dighe e i suoi bacini d’acqua dolce, ora è più esposto a inondazioni improvvise come quella che abbiamo visto nelle Marche e l’anno prima nella regione dell’Eifel in Germania, in una scala ancora più drammatica. Il messaggio è, temo, che la rimozione delle dighe per la migrazione dei pesci potrebbe essere un “progetto” nel senso di Gogolj. Vorrei riflettere con lei sulla fragilità di territori troppo spesso gestiti in emergenza e troppo raramente curati e messi in sicurezza. Dal punto di vista ingegneristico, da cui parte nel suo libro, cosa pensa si possa fare per migliorare le cose?Come ingegnere cerco di essere inventivo. Come scrittore, creativo. Penso che abbiamo sempre bisogno di entrambe le qualità per risolvere o affrontare i grandi problemi. Devo ammettere di essere un cauto tecno-ottimista. Tutto dipende ovviamente da come utilizziamo le possibilità tecnologiche, per chi e a quale scopo.

Qual è il suo rapporto con l’acqua?

È l’origine. È fonte di vita. Al liceo abbiamo imparato che esiste una materia organica e una inorganica. L’H2O era ovviamente inorganica. Ma è un errore. Non è nessuna delle due. L’acqua sfida le categorie, o si potrebbe dire che è una categoria a sé stante. Siamo tutti nati dall’acqua. E come specie, una volta siamo usciti dal mare e siamo arrivati sulla terraferma. Amo nuotare, amo navigare. Noi olandesi siamo minacciati dall’acqua, ma non credo che abbiamo paura di annegare.