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Automobilismo. F1, Vettel dice addio alla Red Bull

Paolo Ciccarone sabato 4 ottobre 2014
Tedesco, campione del mondo, prossimo pilota della Ferrari. Sono passati 19 anni e quelle che erano le parole di benvenuto per Michael Schumacher ora sono di attualità anche per Sebastian Vettel, il prossimo pilota della Ferrari in sostituzione di Fernando Alonso. “Vettel è tedesco, porterà nuova linfa alla rossa” dice Niki Lauda, numero 1 di Mercedes. Se lo apprezza così tanto non si capisce perché non lo abbia preso al fianco di Rosberg per fare una formazione tutta tedesca, ma si sa l’erba del vicino è sempre più verde. “Mi son sempre trovato bene in un team italiano” si è fatto scappare Vettel che a Monza, nel 2008, ottenne la prima vittoria al volante di una Toro Rosso con motore Ferrari e sul palco si udì l’inno di Mameli con quello tedesco, proprio come era avvenuto tantissime volte con Michael Schumacher. Eccoli qua, i due termini di paragone, ma Vettel vale Schumacher? Secondo Jarno Trulli può battere il record di Michael: “E’ giovane, ha una lunga carriera davanti e i 7 titoli di Schumacher sono battibili, specie se trova la squadra giusta” che in questo caso sarebbe la Ferrari. C’è però una differenza abissale fra la rossa dell’era Schumacher e quella che incontrerà Vettel. Michael si portò dietro dalla Benetton i tecnici migliori, come Ross Brawn e Rory Byrne, che con Jean Todt al comando costruirono la Ferrari imbattibile di quegli anni, quella che ancora oggi il presidente, per pochi giorni, Montezemolo ricorda come quella dei record di vittorie a ripetizione, che ha fruttato 8 titoli mondiali costruttori e 6 mondiali piloti di cui 5 con Schumacher consecutivi. L’arrivo di Vettel, oggi, avviene con uno staff tecnico della Ferrari diverso da quello vincente che Sebastian ha avuto alla Red Bull. Si fosse portato dietro Adrian Newey, il progettista pluricampione del mondo, avrebbe avuto un senso. E quindi il primo confronto con Schumacher viene meno. Questi si è costruito una squadra su misura, Vettel se la ritrova già fatta. All’epoca c’era Jean Todt al timone della GES Ferrari, il francese aveva vinto Le Mans, le Parigi Dakar da navigatore prima e dirigente poi. Aveva esperienza di competizioni e di gestione aziendale con una grande Casa come Peugeot. E poi c’era Montezemolo, che in Ferrari ci aveva lavorato 20 anni prima con il commendatore in persona. Ora c’è Marco Mattiacci, brava persona, volenterosa e appassionata, ma del tutto a digiuno di corse e quindi, nel corso della sua opera, avrà il diritto anche di sbagliare e fare scelte controproducenti. E quindi Vettel non avrà dalla sua l’esperienza di un manager capace e infallibile, come invece faceva Todt. In questa nuova realtà, in cui il pilota vale sempre meno, se la macchina va bene dipende dagli ingegneri che la progettano, non certo da chi la guida, Vettel potrà dare un apporto minore. E poi la personalità. Schumacher guadagnava tanto, aveva un capitale di oltre 400 milioni di euro, fatturava più con la collezione di abbigliamento che con gli incassi da pilota. Vettel, dopo quattro mondiali, passa ancora inosservato nel paddock, non ha ancora mostrato quella scintilla capace di muovere le folle, di far lievitare gli incassi e portare entusiasmo al marchio. E alla Ferrari lo sanno bene, ma si vede che non avevano scelta migliore, perché di piloti “latini” capaci di trascinare le folle, riscaldare gli animi, a parte Alonso in giro non ce ne sono molti, anzi nessuno. Quindi è una scelta perdente sulla carta, tutta da dimostrare in pista e un connubio che potrà avere successo solo in un caso: quello in cui gli ingegneri avranno indovinato la macchina giusta. Altrimenti non si potrà dare la colpa al pilota, arrivato a progetti già in corso, non si potranno cercare alibi e scusanti varie. Forse, in questo, la scelta Ferrari è stata l’unica possibile per uscire dal pantano delle incertezze.