Inedito. Jules Verne, l'accoglienza è il vanto di un popolo
Un'immagine dello scrittore francese Jules Verne
Accogliere gli esiliati e i profughi politici. Questa la lezione che l’appena ventenne Jules Verne impartisce ai suoi connazionali. Siamo nel 1848. Le circostanze che portano alla stesura di queste pagine non sono mai state chiarite. Redatto tra il 20 marzo 1848, data d’inizio dell’insurrezione, e la proclamazione della Seconda Repubblica, lo scritto prende apertamente posizione sulla rivolta polacca di Poznan contro i prussiani. In quei mesi tutto il vecchio continente è in subbuglio. E la rivolta polacca non è che un momento dell’ondata europea che a partire di quell’anno porta a vacillare l’ordine stabilito dal Congresso di Vienna all’indomani dell’avventura napoleonica. Di questo testo non si avevano notizie. Il 'Centre d’études vernienne' della biblioteca comunale di Nantes lo conserva tra la sua collezione di manoscritti da quando, nel 1981, lo acquisisce dalla famiglia degli eredi dello scrittore. Si tratta di una serie di ventidue fogli autografi raccolti insieme sotto il titolo La Polonia. Il manoscritto, attribuito a Jules Verne, non è mai stato pubblicato in vita del suo autore. Scoperto dalle edizioni de l’Herne viene pubblicato in questi giorni in Francia a cura di Patrice Locmant (pagine 74, euro 6,00) in anteprima mondiale e Avvenire, oggi, ne riproduce qui a fianco un estratto. Interessante, dell’inedito, la presa di posizione politica di Verne che costituisce un unicum tra la sua produzione letteraria. Conosciuto per Il giro del mondo in ottanta giorni, Ventimila leghe sotto i mari sembrava che Verne mai avesse preso aperta posizione sulla politica del suo tempo. Ma in questa occasione non è così. A colpire sono due aspetti. Da un lato il realismo politico con cui prende in esame la situazione. A prevalere non è l’entusiasmo. Snocciola i rischi di un intervento francese a fianco degli insorti polacchi avvedendosi di un ipotetico effetto domino che coinvolgerebbe Austria, Prussia e Russia legate dalla Quadruplice Alleanza fin dal 1815. Ma evidenzia anche il pericolo per la Francia di esporre il fianco agli appetiti inglesi. Dall’altro Verne, per evidenziare le debolezze polacche, è tra i primi a usare la geografia per compiere un’analisi politica prima che il termine venisse coniato da Rudolf Kjellen e il metodo impiegato da Friedrich Ratzel. Ne emerge un Jules Verne promotore della fraternità dei popoli d’Europa e un difensore, in anticipo sui tempi, del diritto d’asilo oggi oggi tanto evocato.
Ecco il testo inedito di Jules Verne, redatto nel 1848 e ora pubblicato per la prima volta in Francia
Noi, Signori, per come siamo giovani e impotenti, non abbiamo l’occhio della saggezza e dell’esperienza per scrutare il segreto degli eventi. Sarebbe bello, tuttavia, dal punto di vista della politica e della morale, porci faccia a faccia a questi lunghi anni di dolore, e alla nascita prodigiosa di uomini eroici. Sarebbe bello soffermarci su quest’altro percorso di dolore, soffermarci sulle infelici stazioni del popolo polacco, a volte vittorioso, più spesso conquistato e spezzato. (...) Cercheremo, Signori, dopo aver seguito la Polonia attraverso dieci secoli di disordini, di capire come ascoltare le grandi parole di entusiasmo e patriottismo. E voi potrete dire se esiste un obbligo morale della Francia, appena alleviato dal travaglio di una nascita prodigiosa, di gettare tra i ghiacci e i proiettili dei russi, la sua forza, la sua giovinezza e il suo futuro. (...) Signori, attuare questo piano significherebbe condurre una guerra contro la Prussia, l’Austria e la Russia! L’entusiasmo, che non conosce limiti se non la morte, mi risponderà: fate una triplice guerra, se necessario, ma ricreate la Polonia. Facciamolo, Signori, e copriamoci di gloria e disgrazie. (…) E, Signori, avremmo contro di noi la Russia, l’Austria, la Prussia. E l’Inghilterra, che ha appena riconosciuto la Repubblica francese, Signori, non aspetta altro che un’occasione del genere per gettarsi su di noi come da tempo desidera.
Per andare in Polonia l’occasione si trova, ma attizzeremo una guerra europea. (…) Se i polacchi avevano fede nella nostra nobiltà e nella nostra generosità, se, come dice Casimir Delavigne, l’aquila bianca della Polonia teneva gli occhi fissi sull’arcobaleno della Francia, è perché dovevano farlo. Ce lo meritiamo, ma se i fatti, le circostanze, le disgrazie, i disordini, la fatalità, questa grande dominatrice del mondo, sono venuti a negare le nostre intenzioni, ancora una volta, Signori, non è per nostra colpa. La rivolta polacca del 1830 suscitò molti dibattiti nelle nostre Camere. I discorsi che troverete sul Moniteur, pronunciati nel 1830, 1831 e 1832, affrontarono a lungo la questione della nazionalità polacca. Sono state udite parole generose, e generosamente sono state applaudite; a esse si è replicato con argomenti saggi che hanno saggiamente conquistato la maggioranza per la loro sana politica. Quindi, signori, ecco cosa devo dirvi: né il governo monarchico né il governo democratico sono realizzabili in Polonia; per farlo ci vorrebbe una guerra con la Russia, partendo dall’Europa.(…) E la Francia non può intervenire.
Come obbligo, come debito morale, non dobbiamo nulla ai polacchi. Chi ci legherebbe a loro? Sarebbe forse necessario ricordare gli entusiasti che ai tempi della nostra rivoluzione combattevano sulle barricate e gridavano: 'Lunga vita alla Repubblica'? Vi lascio valutare, Signori, se queste grida ben valgono una guerra europea. Se, tuttavia, un mio avversario dissotterrasse un obbligo morale che io ho invano cercato, gli risponderei così: quando Regolo, legato dalla sua parola e dal suo giuramento, fece ritorno a Cartagine, espose al pericolo solo la sua vita. La Francia, di par suo, non può, in forza di non so quale impegno, spezzare l’esistenza di migliaia di uomini e condannare a morte inutile coloro che ora imparano, dalle sue grandi lezioni, la speranza, il futuro, vale a dire i suoi figli. Due parole, Signori, e vi dirò cosa ci lega alla Polonia. Non il soccorso e l’amicizia dovuti ai vecchi amici, ma la buona simpatia e la pietà generosa che ogni sfortunato ha il diritto di aspettarsi. Visto che non possiamo soccorrerli altrimenti, almeno li si accolga con bontà. È quanto può fare la Francia, Signori. Ecco il suo più bel titolo di gloria. Da lungo tempo la consola.