Touring Club. Iseppi: «Venezia? Un monito a occuparci del Paese»
Franco Iseppi
«Venezia sommersa? È una tragedia, un’immagine che nessuno avrebbe mai voluto vedere, è uno schiaffo a tutti noi, per svegliarci, per uscire dal torpore, per prendere finalmente coscienza della responsabilità che abbiamo nel prenderci cura dei nostri territori, del nostro patrimonio, di tutto ciò che è bene comune. È un richiamo a tutti». Il presidente del Touring Club Italiano, Franco Iseppi, è scosso e preoccupato da quello che è avvenuto e avviene in una delle perle del nostro patrimonio, la meta più ambita del turismo italiano. Una cartolina del nostro Paese nel mondo per l’ennesima volta violata, come se non bastassero già l’invasione turistica e le grandi navi. Una catastrofe che arriva mentre il Touring apre i festeggiamenti dei suoi 125 anni, con pubblicazioni, incontri e riflessioni sotto uno slogan che oggi appare quanto mai opportuno e risuona come un vero e proprio monito: “Prendersi cura dell’Italia bene comune”. Da Venezia a Matera capitale europea della cultura, dalla Sicilia, culla del Mediterraneo, alla fragile Liguria, alle montagne dell’Alto Adige fino a Milano – qui dove il Touring Club Italiano è nato – città della creatività, che dopo l’Expo 2015 ospiterà le Olimpiadi invernali nel 2026.
Presidente, cosa rappresenta Venezia?
Venezia è un concentrato di meraviglia e di problemi. È il simbolo del meglio e del peggio del nostro turismo e della nostra cura del territorio. Venezia è unica per storia e bellezza, beni culturali, paesaggio. È fragile, un caso di overtourism tra i più impegnativi che snatura il senso della città stessa; è attraversata da navi giganti dalle quali si gode un panorama senza paragoni, ma che rappresentano un’insidia permanente. È alle prese con un problema che avrebbe invece dovuto salvarla: il Mose. Strumento di controllo delle acque, sperimentale, non ancora collaudato, la cui gestione è prevista come costosissima ed è stato campo privilegiato della corruzione. Però…
Però?
Venezia può diventare l’occasione per ripensare il nostro modo di approcciarci con il territorio, il patrimonio, il turismo, e cambiare paradigma. Venezia è talmente affermata nell’immaginario mondiale che le si perdona tutto e il mondo è disposto a darsi da fare per la sua sopravvivenza. È vissuta come un bene universale. Molti pensano che si debba partire proprio da qui per salvarla.
Cosa si può fare?
Ci sono titoli che esprimono preoccupazioni condivise: «Siamo vicini all’apocalisse!». Le colpe non possono essere attribuite solo al clima, che senza alcun dubbio rappresenta una urgenza straordinaria e impone un cambiamento radicale del nostro stare al mondo. Ma ci sono anche colpe specifiche e direttamente nostre. Una deriva che non potrà non avere conseguenze sull’attrattività dei turisti e sulla vivibilità di chi vi risiede. Il destino di Venezia non può essere lasciato al caso. Ci sono cose da fare subito: finire il Mose, mettere in sicurezza quanto è stato compromesso e mantenere gli impegni annunciati. Ci sono azioni da impostare immediatamente: evitare l’abbandono dei cittadini, disegnare una politica turistica “territoriale” comune per Venezia e dintorni in senso lato, per spalmare i flussi, ripartire dai diritti dei cittadini e dei viaggiatori cominciando dal basso, attraverso la condivisione del futuro della città.
Il Touring compie un compleanno importante: 125 anni. Allora fu illuminante e profetico nel modo di interpretare il turismo: era fondamentale conoscere e far conoscere, dalla segnaletica alle guide, alle cartine. Al tempo del digitale e del turismo diffuso e planetario, le urgenze sono altre. Qual è il suo ruolo oggi?
Il Touring non può certamente ignorare la sua storia e quella del contesto in cui si è sviluppato, ma neppure affidarsi soltanto alla memoria per costruire ogni giorno le sue scelte, i suoi progetti e il suo futuro. Non rinunciando alle funzioni che hanno connotato storicamente l’associazione, il Touring ha cambiato il suo posizionamento da “padre nobile” ad attore protagonista del Sistema Italia per contribuire a fare sì che il nostro Paese, attraverso il turismo fosse più conosciuto, più attrattivo, più competitivo e accogliente: così la gerarchia delle nostre funzioni si è in qualche modo invertita e oggi ci sentiamo di essere innanzi tutto civil servant delle istituzioni, essere un punto di riferimento etico del turismo e poi produttori di conoscenza. Una mission che si esplicita in questo anniversario nello slogan “Prendersi cura dell’Italia bene comune”. Una convinzione ritengo sempre più forte, partecipata e diffusa, che aiuta a superare anche posizioni ideologiche.
Quali sono i nodi del turismo contemporaneo?
Restano sul tavolo le criticità del modello di governance, il rapporto Stato-Regioni, la necessità di una profonda innovazione tecnologica, la qualificazione del-l’offerta. Il concetto di turismo che ci piace sostenere è che sia “un turismo elitario per tutti”, con un livello alto e accessibile, che abbia una funzione sociale e culturale, oltre che economica. Dal nostro punto di vista, seguendo le orme dei fondatori, abbiamo cominciato una riflessione sui grandi temi. I consiglieri storici dell’associazione hanno tracciato in un libro delle visioni straordinarie su quello che sta avvenendo attorno al turismo. La sostenibilità, l’etica, l’impatto che i flussi hanno sui territori e gli abitanti. E poi il ruolo della cultura attorno ai luoghi e al cibo, la formazione e l’innovazione. L’importanza di allargare lo sguardo al Mediterraneo, restituendogli la centralità.
L’Italia ci sta stretta?
No, non dico questo. Anzi, in un turismo sempre più globale avere una forte caratterizzazione identitaria ci permette di esistere e di distinguerci. Come Italia nel mondo e come territori all’interno del Paese. Ma di certo dobbiamo ragionare in termini di area, presentarci come un unico riferimento dal punto di vista naturale, culturale e paesaggistico. Anche ragioni pratiche e di mercato rendono il bacino mediterraneo attrattivo: costituisce una delle principali reti turistiche del mondo (quasi il 30% degli arrivi internazionali che si registrano a livello globale), è luogo di scambi, di incontri, ricco di conflittualità e differenze anche religiose, politiche, vocato all’accoglienza. È lo spazio ideale per la pratica turistica, e l’Italia in quest’area ha un ruolo da protagonista.
I volumi, i convegni che stanno accompagnando questo anniversario vedono, come evidenziava prima, interventi e contributi importanti. C’è un messaggio in particolare a cui tiene e che può rappresentare la bussola per il viaggiatore di oggi?
Mi piace riprendere Gianfranco Ravasi, già consigliere del Tci, da cui ho raccolto proprio il testimone anni fa. Pensando ai suoi archetipi di viaggio – chi procede a piedi, chi avanza con gli occhi, chi viaggia con il cuore – ha una sua esplicita preferenza verso quest’ultima modalità, perché simbolica: si tratta di un cammino, quello del pellegrino, «che si intreccia con le radicate dimensioni religiose dell’uomo». Mi piace pensare che il viaggio sia questo. Perché possono cambiare i tempi e i modi, ma il senso dell’andare no».