Ancora qualche ora e la 71ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, al via stasera alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del ministro per i Beni e le attività culturali Dario Franceschini, spalancherà la sua finestra sul mondo. Una finestra dalla cornice assai più ampia quest’anno, a giudicare dai Paesi invitati dal direttore Alberto Barbera. La giuria, della quale fa parte anche Carlo Verdone, è presieduta dal musicista Alexandre Desplat. Trentanove nazioni, un vero record che dimostra, a dispetto di chi dà per spacciata la settima arte, quanto la voglia di raccontare attraverso il cinema sia sempre più urgente. Sarà l’anno della Francia e degli Stati Uniti, presenti con un drappello di film tra i più attesi, anche se è ormai chiaro che strette logiche di marketing terranno sempre più spesso fuori dai festival internazionali i grandi
blockbuster americani, concentrati su première domestiche meno dispendiose e più strategicamente mirate. Una tendenza che potrebbe spingere le kermesse a esercitare il ruolo più importante al quale sono chiamate: non vetrina di successi garanti, ma scoperta di nuovi talenti e terreno di coltura per autori trascurati dal mercato.La selezione italiana promette moltissimo, tanto che i tre film in competizione, assai diversi tra loro –
Hungry Hearts di Saverio Costanzo,
Il giovane favoloso di Mario Martone e
Anime nere di Francesco Munzi –, sono stati scelti anche dal prestigioso Festival di Toronto, in cartellone subito dopo la Mostra. Se Martone infatti prosegue la sua personale rilettura dell’Ottocento attraverso la figura di Giacomo Leopardi, Munzi si spinge sull’Aspromonte per raccontare una faida calabrese che sa di tragedia greca, mentre Costanzo sposta a New York la storia tutta italiana di una ricerca ossessiva di purezza, sull’onda di autodistruttive teorie new age. La riflessione sull’Italia di ieri e di oggi arriverà con
La zuppa del demonio di Davide Ferarrio e
Italy in a Day di Gabriele Salvatores, ma già rullano i tamburi della polemica in attesa dei due film più "politici" del festival:
La trattativa di Sabina Guzzanti, che sulla base dei documenti processuali mette in scena tra realtà e finzione gli accordi tra Stato e mafia negli anni Novanta, e
Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco che tenta di raccontare le origini di Forza Italia a Palermo. E farà senz’altro discutere anche il
Pasolini secondo Abel Ferrara, provocatorio regista newyorkese che ha affidato il volto del protagonista a Willem Dafoe.Se l’anno scorso odiose violenze familiari raccontate in molte pellicole avevano scosso il Lido, questa edizione sarà caratterizzata dal racconto della guerra, passata e presente, che insanguina tanta parte del mondo.
Look of Silence, il documentario di Joshua Oppenheimer, ricostruisce il genocidio indonesiano del 1965 testimoniando il dolore di chi oggi è costretto a vivere fianco a fianco con i feroci carnefici dei propri cari,
Good Kill di Andrew Niccol racconta la guerra dei droni telecomandati a distanza contro i talebani da chi però non riuscirà a rimanere al riparo dai rimorsi, mentre il regista giapponese Shinya Tsukamoto mette in scena gli orrori, il sangue e i massacri della Seconda guerra mondiale in
Fires on the Plain raccontando l’inferno morale dei soldati così brutali da diventare cannibali. Durante la guerra d’Algeria è ambientato
Loin des Hommes di David Oelhoffen, tratto da un romanzo di Camus, con Viggo Mortensen nei panni di un insegnante in fuga con un prigioniero. Il genocidio armeno è invece rievocato dal turco Fatih Akin che in
The Cut racconta l’odissea di un padre alla ricerca delle proprie figlie, mentre Amos Gitai nel suo
Tsili, ispirato a un romanzo di Aharon Appelfeld ambientato nel 1940, racconta la deportazione degli ebrei. L’iraniano Mohsen Makmalbaf, ormai di casa in Francia, racconta con
The President di un dittatore appena rovesciato in fuga con il nipotino attraverso il proprio paese devastato, mentre
Theeb del giordano Naji Abu Nowar ci riporta al 1916 e
Nabat di Elchin Musaoglu segue una donna costretta a sopravvivere in un villaggio abbandonato dell’Azerbaigian dopo l’arrivo della guerra. E se al tema dei conflitti si aggiunge quello della crisi economica capace di tagliare la gambe a più generazioni e di mettere in ginocchio un’intera società (sull’argomento vedremo l’americano
99 Homes di Ramin Bahrani e il georgiano
Line of Credit di Salome Alexi, ma anche l’iraniano
Tales di Rakhshan Beni-Entemad), allora il quadro diventa piuttosto sconfortante, ma decisamente realistico. E il cinema diventa ancora una volta il linguaggio privilegiato per urlare disagi, ansie, preoccupazione e richieste di aiuto. Ma per raccontare il dolore del mondo, la settima arte ricorre sempre più spesso alla letteratura, come dimostra anche questa edizione del festival. Da Leopardi (
Il giovane favoloso) a
Pasolini (il film di Ferrara), da Camus (
Loin des Homes) a Shakespeare (
Cymbeline), saranno gli scrittori vecchi e nuovi i grandi protagonisti della prossima Mostra che sfileranno idealmente sul tappeto rosso al fianco a stelle hollywoodiane ed europee. Ci saranno Faulkner (
The Sound and the Fury) e Appelfeld (
Tsili), Philip Roth (
The Humbling) e la cinese Xiao Hong (
The Golden Era), il giapponese Shokei Oka (
Fires on the Plain) e Cervantes (nel film del 103enne De Oliveira e in quello di Roy Anderson, che pesca anche da
Delitto e castigo e
Uomini e topi). Ma non mancheranno i più contemporanei come Marco Franzoso (Hungry Hearts), Gioacchino Criaco (
Anime nere), Aldo Nove (
La vita oscena) e Herman Kock (
I nostri ragazzi) e Houellebecq addirittura protagonista di
Near death experience.