Calcio. Venezia in serie B, la vita è serenissima
La vita è serenissima Con Venezia, iniziamo un viaggio, tra presente, passato e futuro, che ci condurrà nelle “Città del pallone” da scoprire o da riscoprire. Si tratterà di luoghi e di stadi che appartengono alla più nobile tradizione della memoria sportiva: quella delle “storie di cuoio”. Conosceremo nuove realtà calcistiche in ascesa, antichi blasoni appena tornati a risplendere, ma anche club e comunità legate ad essi che vivono anni di oblio e che attendono soltanto l’occasione propizia per tornare sotto i riflettori. (M. Cast.) Città nel pallone Dopo dodici anni il club lagunare torna nel torneo cadetto. Dall’era Zamparini a quella attuale, americana, di Joe Tacopina: viaggio nell’ “isola” romantica del calcio ritrovato e di mister Pippo Inzaghi.
L'atteggiamento da piacione lo accompagna da anni, ovunque. Non una posa, ma una cifra stilistica che Joe Tacopina non ha smentito nemmeno a Venezia dove, in sala stampa al termine della sfida contro il Fano che, pochi giorni fa, ha sancito il ritorno in B del club dopo dodici anni, se ne è uscito con un dialettale «bea fioi» - in realtà seguito anche da «gera ora», era ora, insomma - dai tempi comici pressoché perfetti perché ormai, dice strizzando l’occhio ai cronisti, «sono veneziano». Giù risate, e non potrebbe essere altrimenti perché il clima è quello giusto, da queste parti, dopo anni passati alla estrema periferia dell’impero calcistico. Dopo tutto, questo è Tacopina: 51 anni festeggiati lo scorso 14 aprile, uomo di legge e di successo, studio a Manatthan e l’ambizione di sfondare nel calcio italiano. Ci aveva provato a Bologna nel 2008, quando lo bollarono come un bluff, quindi a Roma dove fu figura fondamentale nella trattativa che portò il club alla famiglia Di Benedetto, infine di nuovo in Emilia dove, rilevando il club assieme all’italo-canadese Joey Saputo, si definì, memore dello stigma precedente, «l’uomo dei sogni» rossoblù. Difficile esserlo, però, quando la maggior parte del capitale la versano altri, ed ecco allora, nell’estate 2015, la possibilità di acquistare il Venezia, allora reduce dalla proprietà russa di Korablin, escluso dai campionati professionistici e costretto a ripartire dalla Serie D, e di diventare finalmente il numero uno, colui che ha l’ultima parola.
Per chi ha fatto fortuna come avvocato, è il minimo. Risultato? Due promozioni in due campionati e sempre in anticipo sul termine del torneo, l’ultima ottenuta nel sabato pasquale. Al di là della festa allo stadio Penzo e nel momento del rientro dei tifosi in vaporetto verso le rispettive case, piazze o bar, era difficile accorgersene in una città affollata, come e più del solito, dai turisti. Bandiere e sciarpe arancioneroverdi e la maglietta celebrativa creata apposta per l’evento, con una B gigante stampigliata sul petto e appunto il motto «bea fioi» - che in questo contesto può essere tradotto come «ben fatto ragazzi» - appena sotto, in questi giorni post-sbornia campeggiano qua e là, ma bisogna essere bravi a scorgerle. Dove non si nascondono, ma si mostrano come insegne di un’identità, è sulla terraferma, in un bar di via Manin a Mestre, il Bar Sport Curva Sud, covo dei tifosi più fedeli. Da lì partono le carovane per le trasferte, ed è il luogo eletto ed adatto per ricordare che quello che tutti chiamiamo Venezia, e che per la burocrazia del calcio è Venezia Football Club dopo l’arrivo della proprietà statunitense, nacque esattamente trent’anni fa quando - era il 1987 - Maurizio Zamparini, proprietario dei lagunari, rilevò anche il Mestre ed operò la fusione (l’Unione) che di fatto modificò la storia di entrambi i club. Il Venezia di oggi è la prosecuzione di quel Venezia, quello unionista, e non è un caso se lo striscione padrone di casa al Penzo porta la scritta “Curva Sud VeneziaMestre”, in cui i nomi delle due città sono rigorosamente attaccati, perché il significante deve rendere al meglio il significato anche sotto l’aspetto visivo. A Mestre si trova la sede del Venezia, eppure ben più vicina, al bar degli ultras, a circa trecento metri in Calle del Sale, c’è pure quella dell’Ac Mestre.
Rifondata nel 1991 e passata comunque a propria volta attraverso cambi di ragione sociale e fallimenti, il Mestre dal 2015 va in campo con la matricola della Union Pro di Mogliano Veneto, in Serie D: è un’altra storia, ma si lega ad un contesto calcistico complesso e oggi in comune con il Venezia ha un destino di successo immediato, dal momento che il Mestre è ad un passo dalla promozione e, verosimilmente, la prossima settimana festeggerà la Lega Pro. Tornando al Venezia unionista riaffacciatosi in cadetteria, il ritorno in B rappresenta anche il compimento di alcune rivincite personali. Detto di Tacopina, è anche la rivincita del direttore sportivo Giorgio Perinetti, mollato tre anni fa dal Palermo (anche qui, sempre Zamparini di mezzo: come nel 1987 o come quando, nel-l’estate 2002 dopo aver rilevato il club rosanero, vi trasferì da un giorno all’altro 12 giocatori del Venezia, più l’allenatore, abbandonando gli arancioneroverdi al loro destino), per non parlare di Pippo Inzaghi. Il suo caso, fra tutti, è quello che più fa specie: sedotto e abbandonato dopo l’esperienza al Milan avrebbe potuto fare come tanti suoi colleghi, vale a dire attendere una nuova chiamata in A senza sporcarsi le mani in categorie prive di copertura mediatica. Invece si è rimesso in gioco con un’umiltà che in pochi gli avrebbero riconosciuto. Ha vinto. E lo ha fatto dominando il girone nel quale la favorita assoluta era il Parma. Quello strombazzato come “biologico” e che, dopo i primi risultati negativi, si è sbarazzato in toto della vecchia guardia, ma oggi può sperare nella B solo tramite i play off. Perché il primo posto se l’è preso l’uomo dei sogni.