Agorà

Intervista. Il j’accuse di Venditti: «Incoerenza sui valori. No all’utero in affitto»

LUCIA BELLASPIGA martedì 22 marzo 2016
«Cosa mi preoccupa? Una società in cui i valori vanno a corrente alternata: ci sono e non ci sono, dipende. E una politica che su questi temi lascia “libertà di coscienza”, in pratica ti dice “oggi hai il permesso di pensare”. La coscienza concessa una tantum? ». Antonello Venditti, cantautore romanissimo, 67 anni appena compiuti e quattro decenni in vetta alle classifiche, va dritto per la sua strada, anticonformista nel 2016 come negli anni ’70, anche se il mondo intanto «si è girato» e oggi per non omologarsi «tocca rispettare la vita e l’amore». Anche il suo ultimo disco, Tortuga, coniuga novità e tradizione, con melodie e testi ricchi di sentimento. «Tortuga era il nome del bar davanti al mio liceo ai tempi della scuola. Tortuga è un ritorno a cose conosciute, il riallineamento dell’Antonello di oggi all’Antonello nato a Roma in via Zara...». Già, nel quartiere Trieste. I casi della vita: molti anni dopo lei scivolerà proprio sul tema degli esuli giuliano-dalmati. «La ringrazio perché mi dà l’occasione di chiarire una volta per tutte un brutto equivoco nato due anni fa a Trieste e che ancora si trascina. La tragedia delle foibe non è di destra o di sinistra, ha toccato decine di migliaia di famiglie italiane quindi ci riguarda tutti. Era il Giorno del Ricordo e io avevo preso parte alle celebrazioni in memoria delle vittime di Tito, ma la sera, dopo tre ore e mezzo di concerto durante il quale avevo parlato della mia gioventù e quindi anche del Pci e dei fascisti, uscii con una frase infelice, “adesso non parliamo delle foibe perché ormai sarete stufi”. Di stare lì, intendevo. Fu una mancanza di rispetto non voluta, subito dopo postai su Facebook un lungo testo di affetto per gli istriani, ma oggi la comunicazione è in corto circuito: giorni fa i giornali on line hanno ripubblicato la notizia di due anni fa. Lo stesso è capitato con la Calabria, dove da anni non mi è più possibile andare a cantare a causa dell’ingranaggio incontrollabile dei social: nell’agosto del 2008 a Marsala avevo fatto una battuta in stile Crozza, «Dio, perché hai fatto la Calabria!», mi riferivo alla Salerno-Reggio Calabria. Un anno e mezzo dopo la battuta comparve sui social, senza il suo contesto, e da lì partì una sorta di fatwa basata sul nulla e che mi fa soffrire, perché io amo la Calabria. Scrissi un testo di spiegazione, ma la valanga non la fermi. Oggi con la comunicazione ti possono annientare, pensiamoci». Ricorda il caso Barilla: un’ora dopo aver espresso il suo credo nella “famiglia sacrale” come valore fondamentale dell’azienda, fu vittima di una gogna virtuale planetaria. «I social creano sbalzi temporali e una falsa democrazia: il mondo oggi non ha più sfumature, tutto è un televoto, è contrapposizione tra un sì e un no, o sei con loro o sei “contro”. Per me che vivo di sfumature è un guaio, specie quando il televoto riguarda le questioni fondamentali della vita». A questo proposito, cosa pensa dell’utero in affitto? «È una pratica brutale, un uso della donna ancora più grave degli anni ’60 e ’70, quando si creavano barricate contrapposte ma non in queste categorie orribili. Si può ridurre la donna a un utero? La donna è fatta di volontà, di amore, di cervello, sarebbe come se l’uomo fosse ridotto alla divinazione del fallo. Oggi siamo al punto che diciamo “ho preso l’utero in Indonesia”, come se attorno non ci fosse una donna, come fosse assemblata ». Qual è allora la sua discriminante tra ciò che è giusto e sbagliato?«L’amore. Se un gesto è d’amore non ha controindicazioni, quindi no all’utero in affitto e sì ad azioni meravigliose come accogliere in adozione i figli altrui. Io ho una visione completamente laica, ma la mia coscienza risponde a me stesso e ai valori inviolabili, che sono la vita e l’amore: se si tradiscono questi, si fa una grande confusione e si arriva alla famosa libertà di coscienza data col contagocce. Come, allora le altre volte votano le leggi senza coscienza? Tra me e la politica c’è un abisso». La politica oggi sembra scollata dalla vita reale, mira ad astrazioni che nulla hanno a che fare con la gente vera. «È così. Oggi viaggiamo su temi indotti, lentamente ma inesorabilmente si vogliono far passare idee che non ci appartengono, la metà delle domande che ci poniamo non le vivremo mai. Ci sono grandi collettori di consenso e guai se esci da quella idea: per noi stanno facendo delle scelte che sinceramente non mi appassionano. Scrivere una canzone o una poesia allora è il modo per non sentirsi oppressi e ritrovare la verità del mondo reale». Venditti oggi è tre volte nonno, come lo vive? «Alice ha 18 anni, Tommaso 16 e Leonardo ne ha zero. Sono nonno, sì, ma sono anche padre, figlio... vivo tutti i ruoli, vado avanti e indietro dall’uno all’altro. È il mio modo di amare la mia vita fortunata, nella quale ho la mia bussola, so chi sono e come vorrei il mondo, ma so anche giocare e più gioco più le cose vanno bene. Tra gli amici sono molto ricercato per risolvere i problemi degli altri, che mi interessano moltissimo: è un istinto, sono un generoso, si muove una foglia in India e io la sento». Come mai ha chiamato suo figlio Francesco Saverio? «Io nacqui di 8 mesi e pesavo meno di un chilo e mezzo, i medici mi diedero per morto. Mamma, che era una delle più grandi greciste, sognò san Francesco Saverio che le diceva che io sarei sarei sopravvissuto e avrei fatto del bene. Lei rimase colpita perché non lo conosceva come santo, e tutta la vita fu devota a lui, come pure io». E quel bene da compiere lei se lo sente addosso come un impegno preso? «Lo vivo come una libertà, se dentro ho del bene lo farò. Intanto non mi manca mai il coraggio di dire quel che penso anche a persone importanti, se è per difendere il più fragile». Come con la sua famosissima Sara?«Era il 1978, conoscevo una ragazza di 16 anni che aspettava un figlio non con gioia ma con angoscia. Il suo ragazzo, atterrito, era scappato... Il rischio era che lei rinunciasse a quel bambino e anche una semplice canzone può aprirti gli occhi. Io descrivevo le piccole grandi modifiche che lo sguardo di un uomo vede nel corpo di sua moglie quando è incinta... Fui accusato di essere antiabortista, ma nel mio piccolo penso che questa canzone abbia avuto alcuni meriti e non solo il fatto che in quegli anni metà delle bimbe si chiamarono Sara ». Qual è la canzone in cui più si riconosce? «Tienimi dentro te, dell’ultimo album: non è una canzone, è un sentimento. E poi Oltre il confine, che è del 2011 e parla di accoglienza dei profughi. Il Papa – che ammiro profondamente perché in lui vedo l’unione perfetta tra san Francesco e san Francesco Saverio, tra francescano e gesuita – ha detto una cosa incredibile: “Siamo abituati a una solidarietà che è dare il superfluo, ma questo non basta, Dio ti chiede una parte di te, devi toccare il tuo capitale, non quello che rimane”. Dobbiamo assolutamente recuperare il senso della carità cristiana, che va oltre la solidarietà, che va all’amico e al nemico. Carità vuol dire amore e l’amore vince sempre, anche quando perde. Del resto Cristo, perdendo, ha vinto l’eternità per noi». Come concludiamo questa chiacchierata a 360 gradi? «Con un augurio di Buona Pasqua. Si può ancora dire? Trovo assurde le discussioni su crocifissi e benedizioni a scuola. La Messa un’ostentazione? Non scherziamo: ecco di nuovo il televoto, come fosse una guerra di religione. Si cerca lo scontro nel nome di un laicismo che manipola il mondo e vi mette al centro l’uomo, ecco perché l’umanità sta cambiando e diventa materialista, nichilista, agnostica. A questa mutazione genetica resiste solo chi più ha fede, perché le radici profonde non si estirpano. E le radici ti portano a Dio».