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Poesia. «Vedrò di nuovo il tuo viso». Victoria Chang e le sue poesie per la fine

Alberto Fraccacreta giovedì 22 agosto 2024

La poetessa Victoria Chang

La poesia di Victoria Chang è un agglomerato di asserzioni nude, cortocircuiti sintattici, fili da disbrogliare nel mezzo di una verità scorticata. Classe 1970, originaria di Taiwan, docente al Georgia Tech di Atlanta e vincitrice di una borsa di studio Guggenheim, Chang si presenta per la prima volta al lettore italiano con OBIT. Poesie per la fine (a cura di Adele Bardazzi, Interno Poesia, pagine 252, euro 18,00): un testo in cui la perdita delle persone care si scontra con la responsabilità di continuare a vivere. Così in una delle liriche più intense: «Mia madre: morta senza pace il 3 agosto 2015 nella sua stanza al Walnut Village Assisted Living ad Anaheim, California di fibrosi polmonare. La stanza era nata il 3 luglio 2012. Il Village non era un villaggio. Nessun albero di noce. Solo fiori recisi. Nei giorni precedenti, l’infermiere dell’ospizio aveva fatto scorrere silenziosamente lo stetoscopio sopra al polmone di mia madre e aspettava che si gonfiasse. In un modo in cui l’attesa diviene una ferita. Il modo in cui l’infermiere sospirò, chiuse gli occhi e disse mi dispiace. Il sangue mi affluì al viso o nelle punte delle dita? Riaprì gli occhi prima o dopo aver detto mi dispiace? Il modo in cui la memoria echeggia dopo uno sparo». Ai basaltici necrologi in prosa si alternano alcuni tankas (componimenti brevi di tradizione giapponese) che raccontano la forza perpetuatrice dell’esperienza genitoriale.

Professoressa, OBIT è la sua quinta raccolta, uscita in America nel 2020.

«Sì, OBIT – abbreviazione di obituary – è un libro di poesie costituito da necrologi, nella forma in cui tradizionalmente si pubblicano sui giornali. Ho cominciato a scrivere la silloge dopo la morte di mia madre. Inizialmente avevo un po’ di reticenza, quasi mi rifiutavo di comporre elegie tradizionali, perché avevo la sensazione che tutti le avessero scritte meglio o che non fosse la modalità espressiva adatta per il mio dolore. Un giorno, ho sentito alla radio qualcuno parlare di Obit. Life on Deadline (è un docufilm del 2016 dedicato ai necrologisti del New York Times, ndr) e quella parola mi ha turbato, con la sua “o” lunga e la “t” dura. Ho capito che, quando muore qualcuno che ami, muore tutto. E così sono andata a casa ed è venuta fuori la prima lirica del libro».

Più in generale, la sua poesia cerca strategie stilistiche sempre nuove per mettere su carta argomenti spinosi, come la morte.

«Ritengo che la forma debba essere “scoperta” e, quindi, sia necessaria per definire qualunque cosa ci capita di vivere e di scrivere. Riguardo a OBIT, la modulazione formale è semplicemente apparsa perché credo che fosse qualcosa di inevitabile. Confido in una sorta di “processo organico” della creazione artistica».

Il suo ultimo libro è, invece, With My Back to the World (Farrar, Straus and Giroux, pages 112, $ 26.00), ispirato alla pittrice minimalista Agnes Martin...

«Si tratta più che altro di una conversazione con il lavoro di Agnes Martin. Il MoMA di New York mi aveva commissionato la stesura di una poesia che descrivesse un pezzo della loro collezione. Ho messo su carta un testo per loro guardando a lungo il catalogo e scegliendo uno dei quadri di Agnes Martin. Ma presto mi sono resa conto che non avevo finito di colloquiare con la sua opera. Il risultato è stato questo libro che esplora la sofferenza, la depressione, l’arte, la gioia».

Cosa pensa dell’attuale situazione politica negli USA e in Europa? E cosa può fare la letteratura per arginare lo spettro dei nazionalismi?

«La situazione politica negli Stati Uniti e in Europa mi sembra alquanto simile in questo momento. Pochi giorni fa ero a Rotterdam al Poetry International Festival e poeti di tutto il mondo era scossi dalle mie medesime preoccupazioni. Sono rimasta molto colpita da come l’ondata di nazionalismo sia ormai diffusa ovunque. Ciò mi rende angosciata e triste allo stesso tempo. Credo davvero che la letteratura e la poesia possano salvare il mondo. Lo dico in continuazione. Sembra folle ma penso veramente che la poesia possa ampliare l’empatia, le nostre menti e i modi in cui esse possono restringersi e crescere».