Ornella Vanoni ha annunciato che non ha nessuna intenzione di ritirarsi. Anzi, ha messo su carta la sua vita nell’autobiografia «Una bellissima ragazza», edita da Mondadori. Ne pubblichiamo una parte, dove racconta di avere sofferto di depressione.Un senso di non appartenenza. Una disperata sensazione di inadeguatezza. Un continuo stato di imbarazzo. Un senso di vuoto, di abbandono. Una mancanza. Un grande desiderio di dare conforto, di sottrarre al dolore i più piccoli, i più poveri, i più gracili, gli animalini abbandonati. Questo essere così in balia della mia emozionalità ha reso faticosa la mia infanzia, quasi dolorosa la fanciullezza e insopportabile e confuso il mio essere donna che incontra gli uomini. Loro mi volevano e io li subivo senza capire in cosa consisteva quella forza e quella necessità di loro. L’educazione ricevuta mi costringeva ad accettare tutto ciò come qualcosa che trascendeva da me, impedendomi di ragionare, di appartenermi.Ma stoicamente portavo avanti il mio malanno, difendendomi con il corpo. Come uno scudo. Come un guerriero con la bocca rossa, col sedere fasciato in abiti stretti, con cinture mozzafiato o un bikini troppo piccolo. Oltraggio al pudore. Cilici. Tacchi a spillo. Tutto messo a verbale dai vigili che piantonavano le spiagge, ai quali dovevo pagare delle multe dilapidando la paghetta che mi passava mio padre, e che pesava anche quella come un pedaggio.Un guerriero non vuole essere compianto. Non vuole che nessuno veda il suo dolore, così vivo, così evidente. Una piaga. Un buco nel collo. Una ferita aperta. Così visibile. Così vergognosa. Così torturata dagli aghi. Dai bisturi. Dagli acidi. Nessuno deve vedere, perché la corazza sarà smagliante. Strana quella ragazza, non ride. Canticchia in un angolo. Non saluta. Sarà snob e antipatica. Chi si crede di essere. Un uomo deciderà che devi cantare, e lo farai. Un altro deciderà che devi recitare, e lo farai. Supererai il terrore, le notti insonni, la certezza di non farcela. Invece ce la farai. E sarai una rivelazione. Ma non per te. Mai. E sarai infelice. Non ti abbandonerai mai. Non godrai. Ti ammalerai piano piano. Il cielo sembra vicino ma tu non lo tocchi mai. Poi sarà troppo. Qualcosa si romperà. Si ammalerà.Per giorni, per mesi, per anni. E sarà troppo. Troppo. Ti fermerai.Non vivrai. Aspetterai seduta nello stesso angolo di una casa grande, vuota, malata come te. Ti vergognerai di ciò che sei. Penserai di andare via, di morire, di non esserci più. Così semplice, meno doloroso che vivere. Troppi fallimenti. Troppi idoli crollati dal loro piedistallo con un fracasso tremendo. C’è tuo figlio, ma ti vergogni di come sei, non gli fai sentire il tuo amore e non gli chiedi aiuto. Non si chiede a chi non si può dare. Eppure quante volte ho riso. Ho amato. Sono corsa al mare. È questo che mi impedisce di andare via. Ci deve essere una porta. Devo capire, sapere.Altrimenti esci dalla vita e basta. Devi capire. Capire che l’orrore che stai vivendo avrà una fine. Che tutto avrà una fine, anche prima di morire. Ti danno un nome, ti danno un numero. Prendi tutto, ingoi tutto. Non vuoi sapere, ti abbandoni.Tutto è meno grave di questo orrore. Niente può essere peggio di così. Un giorno torni a sentire il piacere dell’acqua sul corpo, il gusto del cibo. I discorsi della gente. Puoi leggere. Capire. Guardare. Essere avida di luce, di vita. Ti senti libera. Puoi esserlo, finalmente. Contare su te stessa e pensare, domani posso morire. Forse tra pochi minuti. Ma amo la vita senza finzione. Deponendo le armi. Sorridere ai nemici. Agli amici. Voler bene. Volermi bene. Non sentirmi mai sola. Essere con me.
Ornella Vanoni Tratto da «Una bellissimaragazza» di Ornella Vanonicon Giancarlo Dotto ©2011 Arnoldo MondadoriEditore S.p.A