Teologia. L'umorismo di Gesù? Il gusto per l'immagine che spiazza
Domenico Fetti, “La parabola della pagliuzza e della trave”, 1619 circa, particolare
Esplorando i tratti della figura di Gesù, il sopraffino scrittore inglese G.K. Chesterton in Ortodossia sostiene che in varie occasioni non ha trattenuto la collera e non ha nascosto le lacrime, ma ha tenuto in serbo qualcosa: «C’era qualcosa che Egli nascondeva a tutti gli uomini quando saliva sul monte a pregare. C’era qualcosa che Egli occultava con un improvviso silenzio o con un impetuoso isolamento, C’era una cosa troppo grande perché Dio potesse mostrarcela quando è venuto sulla terra, e io qualche volta ho immaginato che fosse il suo riso». Dell’umorismo di Gesù i teologi non hanno dibattuto molto nei secoli passati. Si ricorda il detto medievale "Flevisse lego, risisse numquam" dell’abate Ambrogio di Autperto. Nei decenni scorsi fece discutere un articolo sulla rivista "Communio" del gesuita Xavier Tilliette che si intitolava appunto: "Gesù ha mai riso?".
Ora finalmente si cimenta sul tema il biblista tedesco Klaus Berger nel volume Un cammello per la cruna di un ago? L’umorismo di Gesù, appena uscito da Queriniana (pagine 236, euro 28). Conosciuto da tutti gli studiosi per il best seller Gesù, pubblicato nel 2007 e tradotto in molte lingue - e citato anche da Ratzinger nei suoi libri su Gesù di Nazaret -, il teologo è scomparso nel 2020 e questa è probabilmente l’ultima opera da lui pubblicata.
Singolare già la scelta dell’esergo, una citazione dal libro Gesù e Giuda di Amoz Oz, da poco tradotto in italiano da Feltrinelli. Ecco le parole appassionate dello scrittore israeliano: «Lessi, dunque, i vangeli e mi innamorai di Gesù, della sua visione, della sua tenerezza, del suo sovrano senso dell’umorismo, della sua franchezza, del fatto che i suoi insegnamenti si presentano così pieni di sorprese e sono così pieni di poesia». Umorismo e poesia, tenerezza e franchezza sono segni colti da Berger per rilevare sin da subito che l’umorismo non è un’eccezione, ma parte integrante del messaggio di Cristo.
Certo, solo in due passaggi dei vangeli apocrifi si vede Gesù stesso che ride, ma ciò non cambia il fatto che molto spesso le parole di Gesù, a volte beffarde a volte grottesche, finiscano per provocare nei suoi interlocutori un riso liberatorio. Che parli del cammello e della cruna dell’ago, della scheggia e della trave, delle perle gettate ai porci o dell’obolo della vedova, Gesù vuole risvegliare la coscienza di chi lo ascolta e liberarlo dagli inganni e dalle false rappresentazioni che si è creato nella mente. Senza essere per forza divertente - Cristo non racconta barzellette -, è altamente efficace anche grazie al «contenuto aureo» del suo umorismo.
Il trasgressore di tabù, l’araldo dell’umorismo assurdo, il disturbatore esagerato: sono alcune definizioni della personalità di Gesù. «Nell’umorismo di Gesù si esprime il suo atteggiamento nei confronti dei tabù che accerchiano ogni pio giudeo e anche ogni pio cristiano», spiega il biblista ricordando come l’umorismo dia la possibilità di dischiudere la realtà e di mostrare la verità senza discorsi astratti. E se a volte Gesù dà l’impressione di esagerare nelle provocazioni, come quando a proposito della prostituta che gli cosparge i piedi di profumo dice: «Essa ha molto amato», o come quando loda l’amministratore disonesto, è perché vuole far capire che il suo messaggio va oltre la morale e che chi lo segue deve percorrere strade inconsuete e impensate. E allorché viene accusato di tollerare uno spreco, quando un’altra donna lo unge con olio e i discepoli si lamentano perché quell’olio poteva essere venduto e il ricavato dato ai poveri, Gesù anche qui spiazza chi gli è davanti, indicando loro che l’amore per il prossimo non va mai disgiunto dall’amore verso Dio: il fatto di onorarlo non è in contraddizione con la generosità e la solidarietà. Commenta Berger attualizzando il discorso: «Detto altrimenti, lo sperpero di risorse per il culto e per la pietà è fino a oggi sempre di nuovo posto in concorrenza con l’amore del prossimo».
In altri casi si ride perché si rappresenta la verità dell’esistenza umana in forma deformata e grossolana, il che colpisce più di una predica. Proprio come nell’azione teatrale. «Il comico, il goffo, il troppo umano ottengono una propria evidenza. Ed è lo stesso anche per la verità in generale: essa ha la meglio non quando viene inculcata a ogni costo, ma solo grazie alla propria evidenza», rileva ancora l’autore, il quale sostiene che Gesù conoscesse il teatro di Diocesarea, situato a soli otto chilometri da Nazaret, costruito a ridosso di una montagna, e anzi non esclude che egli col padre Giuseppe abbia lavorato alla sua costruzione.
Lo smascheramento dei controsensi funziona in tanti altri episodi: nel caso della latrina ad esempio, quando Gesù ragiona sulla sorgente dell’impurità, da vedere nei pensieri e nelle azioni degli uomini e non in ciò che è sporco e può contaminare da fuori l’uomo stesso. Di humor nero si può parlare nella vicenda del castigo con la macina da mulino, che rappresenta l’opposto del possibile e ricorda i castighi infernali raffigurati da Hieronymus Bosch.
Nel suo esercizio costante di critica profetica Gesù si è ampiamente servito di paradossi che potevano mettere paura o sollecitare al riso e in questo Berger vede qualche affinità con i filosofi itineranti cinici dell’epoca, che con i loro atteggiamenti plateali e le loro battute sarcastiche finivano per suscitare l’attenzione degli uomini antichi. È quasi inevitabile pertanto che il libro si chiuda con un passo della famosa preghiera di Tommaso Moro: «Signore, donami il senso dell’umorismo, dammi la grazia di capire uno scherzo, perché io possa avere un po’ di gioia in questa vita e comunicarne agli altri».