Agorà

Filosofia. Van Breda, il francescano che salvò le tesi di Husserl

Simone Paliaga martedì 8 gennaio 2019

Herman Leo Van Breda (1911-1974), filosofo e francescano belga

Berlino, 23 settembre 1938. Dal treno proveniente da Costanza scende un giovane alto quasi due metri vestito col saio francescano. Sul binario lotta con due enormi valigie evidentemente troppo pesanti per lui e l’immancabile sigaretta stretta tra le labbra. Il nome, Herman “Leo” Van Breda, è poco noto. Di cittadinanza belga, ha 27 anni e da poco lavora a una tesi di dottorato all’Università di Lovanio dedicata al filosofo tedesco Edmund Husserl, apripista della fenomenologia. Husserl era morto solo qualche mese prima, il 27 aprile, all’età di 79 anni, lasciando la moglie Malvine e diversi allievi in lutto, e un’eredità teorica che conquisterà il mondo. Malgrado portasse uno dei nomi più noti nelle accademie d’Europa, in Germania era un isolato. Convertito al luteranesimo quasi mezzo secolo prima, con l’avvento di Hitler le sue origini ebraiche lo condannano all’espulsione dall’università e soprattutto al divieto di pubblicazione. Rinserrato nella sua casa di Friburgo in Brisgovia, negli ultimi anni di vita è costretto ad accontentarsi della compagnia dei parenti rimasti in Europa e degli allievi più fedeli, Eugen Fink e Ludwig Landgrebe.

Nell’estate del 1938 Herman Van Breda si reca in visita alla vedova del filosofo per catalogare le carte e gli appunti ancora inediti. Crede che il numero dei manoscritti sia contenuto e invece si imbatte in «quarantamila pagine autografe stenografate direttamente dal maestro e quasi diecimila già trascritte dagli assistenti Edith Stein, Ludwig Landgrebe e Eugen Fink» racconta il francescano nel resoconto della sua impresa pubblicato in un volume collettaneo nel 1956 e mai più ristampato prima di oggi. Le edizioni francesi Allia hanno deciso di renderlo nuovamente disponibile con il titolo Sauver les phénomènes (pagine 96, euro 6,50) per far conoscere la storia del salvataggio delle carte di Husserl per evitare che venissero distrutte dall’orrore della guerra.

La vicenda ha a tal punto dello straordinario che, sempre Oltralpe, è diventata anche un romanzo, Le Sauvetage di Bruce Bégout (Fayard, pagine 368, euro 20). Non appena Herman Van Breda si accorge della cornucopia di manoscritti s’adopera, d’accordo con Malvine Husserl, per organizzarne il trasferimento in posti più sicuri. Con l’Europa sul ciglio della guerra l’impresa non è cosa da poco. Occorreva prima allontanarli dalla casa del filosofo senza dare nell’occhio. Per farlo il francescano si avvale della collaborazione di sorella Adelgundis Jägerschmidt, religiosa benedettina che prima dell’ordinazione seguiva i corsi di Husserl a Friburgo. Col suo sostegno gli scritti arrivano in una piccola residenza a Costanza di proprietà delle sorelle del convento di Lioba, nei pressi di Friburgo. Forte dell’appoggio della madre badessa i documenti sarebbero stati trasferiti in salvo in Svizzera. Ma sorella Adelgundis, dopo una piccola indagine sul terreno, si accorge dell’impossibilità di proseguire col piano. Era troppo rischioso trasportarli oltreconfine evitando i controlli alla frontiera. Al che Van Breda decide di intraprendere un’altra strada. Si organizza per portarli a Berlino e conservarli all’ambasciata belga della capitale del Reich finché non si fosse trovata una soluzione per recapitarli in Belgio.

«Giovedì 22 settembre raggiunsi Costanza per riprendere le valigie coi manoscritti. Durante la notte tra il 22 e il 23 - annota Van Breda - copro il tragitto da Costanza a Berlino. La mattina del 23 deposito le valigie al convento dei francescani di Pankov-Berlin e ottengo per il primo pomeriggio un appuntamento con due diplomatici dell’ambasciata belga». Solo l’intervento dell’ambasciatore scioglierà le perplessità e le valigie, sotto tutela diplomatica, arriveranno in Belgio mettendo al riparo della censura nazionalsocialista il materiale inedito Husserl che presso gli Archives-Husserl di Lovanio. A missione conclusa la paura ghermisce il francescano.

Il timore di essere scoperto lo porta a una precipitosa fuga prima a Friburgo e poi finalmente a Lovanio. Eppure la missione di di Herman Van Breda era solo a metà strada. Con la guerra alle battute finali e i tedeschi in ritirata, nel marzo del 1945, Herman Van Breda viene a conoscenza del rischio di vedere distrutti gli appunti della sua amica carmelitana Edith Stein, imponente filosofa di origine ebraiche, uccisa nell’agosto del 1942 ad Auschwitz. Così, insieme a tre carmelitane, Van Breda va a rovistare fra le macerie del monastero di Echt, nei Paesi Bassi dove Edith Stein si era rifugiata sperando di scampare alle leggi razziali naziste, per raccogliere i fogli della santa.

Una volta riordinati, con l’appoggio di Avertanus Hennekes, provinciale dei Carmelitani scalzi, e Cristoforo Willems, sottopriore dei Carmelitani di Geleen, anche i manoscritti della fenomenologa cattolica avrebbero preso la strada di Lovanio per costituire l’Archivum Carmelitanum Edith Stein. È bastata solo una manciata di anni per dimenticare il nome di Herman Van Breda, il custode di parte della filosofia del Novecento. Speriamo bastino un romanzo e un suo testo per restituirgli il posto che merita.