Oggi pensiamo al vampiro come a un prodotto culturale americano, dalla saga letteraria e cinematografica di
Twilight fino alle serie televisive, tuttora in corso,
True Blood e
The Vampire Diaries. Ma ci fu un tempo in cui, almeno in Europa, i vampiri parlavano italiano e le storie dei bevitori di sangue venivano soprattutto dal nostro Paese. La giovane casa editrice Keres di Mercogliano (Avellino) si è specializzata nel recupero di questa letteratura, dimenticata ma non priva d’interesse e qualche volta anche di meriti. Qualche mese fa anche “Avvenire” ha recensito la ristampa del capostipite di questo genere letterario,
Il vampiro. Storia vera, pubblicato a Bologna nel 1869 dal barone parmense
Franco Mistrali (1833-1880), un garibaldino anticlericale che peraltro morì convertito al cattolicesimo. Ora Antonio Daniele – che attraverso il blog “Il catafalco” aggiorna quasi quotidianamente un ideale catalogo della letteratura di vampiri disponibile in lingua italiana – completa l’opera per la Keres curando l’antologia “Vampiriana. Novelle italiane di vampiri”, una raccolta dove sfilano accanto a nomi dimenticati un paio di autori notissimi. Cominciando da questi ultimi, al centro dell’antologia sta la più famosa storia italiana di non morti,
Un vampiro, un romanzo breve che
Luigi Capuana (1839-1915) pubblica nel 1904 su “La lettura” e nel 1907 in volume. Si può dire che si tratti dell’unico romanzo italiano di vampiri che ha avuto un influsso e una notorietà davvero europei. Mette in scena un marito – forse avvelenato dalla moglie – che torna a tormentare la vedova che si è risposata. Capuana è un verista, ma la presentazione della storia come un’asciutta cronaca di fatti inspiegabili la rende semmai ancora più spaventosa. Del resto, come tanti razionalisti dell’epoca Capuana non disdegna lo spiritismo e la parapsicologia. Il secondo grande nome dell’antologia è
Emilio Salgari (1862-1911), di cui è opportunamente riproposto nel centenario della morte un racconto dimenticato,
Il Vampiro della foresta, che lo scrittore dovette firmare “Guido Altieri” per sfuggire al contratto di esclusiva che lo legava alla casa editrice Donath. Il vampiro, qui, non è il classico non morto ma il pipistrello delle foreste ibero-americane, qui sconfitto nel misterioso – all’epoca – “Uraguay” da due avventurosi italiani, i fratelli Puraco. Ma non si tratta di puro esotismo salgariano, perché non manca un elemento che allude al soprannaturale: il pipistrello vampiro è misteriosamente controllato da uno stregone indio. Tra gli autori dimenticati, alcuni ci ricordano il fascino che sulla lettura ispirata al positivismo della fine del secolo XIX esercitavano i manicomi. Tipica è la storia di
Francesco Ernesto Morando (1858-1935)
Vampiro innocente, del 1885, dove in un ospedale psichiatrico vive un padre che ha ucciso il figlio che aveva lentamente prosciugato la vita della sorellina, conducendola alla morte. Un vampiro psichico, dunque, che non succhia il sangue ma l’energia vitale, simile a quello di Capuana e al protagonista di un altro racconto dell’antologia,
Il vampiro di
Giuseppe Tonsi (uno degli autori di cui il curatore non ha ritrovato dettagli biografici) pubblicato nel 1902 su “La Domenica del Corriere” e nel 1904 in volume. Il verismo non è l’unico genere letterario dell’antologia.
Daniele Oberto Marrama (1874-1911) con
Il dottor Nero, una storia pubblicata anch’essa su “La Domenica del Corriere”, nel 1904, attinge piuttosto alla tradizione del romanzo gotico mettendo in scena un castello scozzese e un vampiro che è legato al suo ritratto, da cui esce a tormentare la moglie di un capitano di marina. E
Giuseppe De Feo nel suo
Il vampiro del 1906 mostra uno spirito capace di togliere la vita agli umani all’opera in un contesto coloniale, in Tripolitania.
Vittorio Martella presenta invece un racconto d’avventure esotiche d’ispirazione salgariana, che risale al 1917, dove un prete indegno si è unito a un culto di bevitori di sangue in Venezuela. Spetta a uno scrittore decadentista,
Enrico Boni, il merito di offrirci in un racconto del 1908,
Vampiro, quanto di più simile in questa letteratura italiana si trova all’immagine classica del vampiro che dal folclore dei Balcani era passata in romanzi come
Dracula. Qui c’è un vero non morto, che esce dalla tomba e che può essere distrutto solo piantandogli un paletto nel cuore. Ma, anziché in un club inglese, il gruppetto che lo distrugge si ritrova in un’osteria di paese italiana: scenario poco familiare per i lettori di Bram Stoker (1847-1912) ma tutto sommato fedele alle origini folcloriche del mito del vampiro. Si tratta di grande letteratura? Non possiamo dirlo, se non forse con riferimento alla novella di Capuana. Ma l’antologia ha il merito di ricordarci che il tema del vampiro non è soltanto anglosassone, e che nell’epoca in cui il mito si forma – fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale – nasce una letteratura veramente europea, cui anche l’Italia dà il suo contributo.