Agorà

REPORTAGE. Valsugana, porta per Venezia

Diego Andreatta venerdì 22 giugno 2012
L'indimenticabile frate degli emigrati trentini nelle Americhe, padre Bonifacio Bolognani, quando si trovava a illustrare la Valsugana ai nipoti di quei nonni-pionieri indicava sulla carta geografica i laghi alpini, il fiume Brenta che attraversa Borgo, la catena selvaggia del Lagorai e poi scendeva con l’indice verso sud est: «Vedete, ragazzi, questa valle è la porta per Venezia».Una definizione d’immediata efficacia, non solo perché già nel 1866 era stata progettata la sbuffante ferrovia che ancora oggi da Trento in appena in due ore ci porta nella laguna di San Marco, ma perché dai tempi dell’impero romano la valle fu la scorciatoia naturale per raggiungere il mare partendo dal corridoio dell’Adige, tra Verona e Monaco. Dal Danubio all’Adriatico, insomma, come già aveva immaginato nel 15 a.C. l’imperatore Druso, figlio adottivo di Augusto, nella sua strategia di conquista sui Reti. Un disegno poi realizzato dall’imperatore Claudio con l’antico tracciato - la via Claudia Augusta Altinate - che portava dall’attuale Augsburg fino ad Altino, nei dintorni di Venezia. Alcuni cippi miliari sono ancora visibili nei paesi trentini di questa ampia vallata, favorita dalla natura ma anche spezzata dalla storia: il principato vescovile di Trento arrivava fino a metà valle (per l’esattezza a maso San Desiderio, vicino a Novaledo), dove confinava con i feudi orientali della contea del Tirolo. Una storia tormentata, dalle sovrapposizioni complesse (la diocesi di Feltre si estese per lunghi secoli lungo fino a Pergine, a quindici minuti da Trento) che rappresenta però il dna dell’autonomia trentina. A partire dal tredicesimo secolo infatti si sono qui prodotte originali forme giuridiche di autogoverno, sancite dalle carte di regola, per tutelare i terreni dallo sfruttamento e poter godere dei beni collettivi come  pascoli e foreste. Nascevano da antiche consuetudini tramandate oralmente, poi suggellate in forma scritta, a legittimare anche la specialità autonomistica.Sulla Valsugana, poi, s’affacciarono  due realtà etniche minoritarie -  i Mòcheni germanofoni nell’omonima valletta e i cimbri insediatisi sull’altopiano tra Lavarone e Folgaria - protette assieme ai ladini dallo statuto d’autonomia e valorizzate in due affascinanti istituti museali, da visitare a Palù del Fersina in val dei Mòcheni e nell’isola cimbra di Luserna.A chi vuol salire a piedi con lo zaino sul picco di Levico, il panorama presenta la Valsugana come una tavolozza trentina: il bianco delle cime innevate, dalla Panarotta fino al Lagorai dove sono i cacciatori a proteggere l’habitat ideale per il gallo forcello; il cobalto dei bacini lacustri di Caldonazzo e Levico, piscina dei turisti olandesi e tedeschi e ora campo di gara per i dragon boat degli universitari trentini; lo smeraldo dei boschi che nascondono i porcini ai raccoglitori in arrivo dal Veneto. Qua e là le appuntite presenze di pietra grigia dei manieri che testimoniano un atteggiamento secolare di difese: dal castello di Pergine, oggi museo d’arte, allo strategico Castel Selva di Levico fino alla sagoma aguzza di Castel Telvana. Fra i musei, meritano una visita anche quello di Calceranica al Lago sull’epopea dei minatori del rame, "nanetti" infanticabili nascosti sotto terra per lunghi secoli. E poi la suggestiva casa natale di Alcide De Gasperi, a Pieve Tesino, sull’altopiano non lontano da Sella Valsugana dove lo statista aveva il suo buon ritiro di famiglia. Ora questa piccola valletta di Sella è divenuta richiamo internazionale anche per il moderno percorso artistico nel verde con la cattedrale vegetale ideata da Giuliano Mauri dieci anni fa: tre navate e ottanta colonne di rami di carpino alte dodici metri. Ma ogni anno la rassegna "Arte Sella" continua ad accogliere gli artisti che affidano le loro opere alla custodia degli agenti atmosferici dentro la naturale scenografia valsuganotta.