Nel nome l’identità: Chiavenna, nei secoli la "chiave" dei transiti tra la penisola italica e il Nord Europa. Sebbene oggi gli etimologi neghino la derivazione dal latino
clavis, restano quelle chiavi sullo stemma, resta quella strada, tracciata nel cuore delle Alpi, che ha messo in moto il più grande traffico di sogni, di uomini e di merci del nostro continente. Valica il crinale nel centro esatto dell’arco alpino, al Passo dello Spluga, che ha dato il nome attuale a quella che fu in passato la Strada Imperiale della Raethia, la Via Regina, la Via del Cardinello. Qui si saldava il ponte tra le culture dei due versanti: quella reto-romancia, quella walser e quella lombarda. Qui i pellegrini medievali si lasciavano alle spalle le fredde regioni settentrionali per iniziare la discesa verso Roma, nell’abbraccio della luce e dei tiepidi aliti del Mediterraneo. Erano i secoli in cui lungo questa via, che univa Coira, capitale della Rezia, a Milano e alla Via Francigena, sorgevano santuari e monasteri, ospizi e luoghi d’accoglienza, tanto più indispensabili quanto più impervio era il territorio da attraversare. Tra Thusis e Chiavenna il difficile tratto alpino correva tra profondissime gole e versanti rocciosi. Da una parte, quella svizzera, la Viamala: un incubo di orridi e dirupi, nere pareti sgocciolanti, alte fino a 300 metri e distanti, in alcuni punti, solo qualche metro. Dall’altra, quella italiana, la gola del Cardinello, in cui sprofondava la "strada di sotto", già battuta nell’antichità e nel Medioevo, ma infida e pericolosa. Nel 1643, all’epoca del grande sviluppo dei "porti" – il Porto di Val San Giacomo, con sede a Isola, e il Porto del Rheinwald, con sede a Splügen, che avevano l’esclusiva del trasporto delle merci attraverso il valico – si decise di migliorare la "strada di sotto", trasformandola nella Strada del Cardinello, una larga mulattiera accessibile alle bestie da soma, con superbi muri di sostegno e tratti arditi, intagliati con la dinamite nella viva roccia degli strapiombi rocciosi, con parapetti e tettoie paravalanghe. Ancora oggi percorrere a piedi questo tratto spettacolare, affacciato su dirupi scavati dal fiume Liro, è un’esperienza fuori dal comune. A valle di Isola, la strada si fa più facile e sicura. Lambisce il piccolo centro di Vho, smarrito tra i prati, dove si può osservare la
scribaita, un lastrone verticale di gneiss con antichissime incisioni. Transita sotto l’impressionante spettacolo dei macigni di granito incombenti sull’abitato di Cimaganda. Sfiora il santuario di Gallivaggio, incastrato sotto un’alta rupe nel luogo dell’apparizione della Vergine del 10 ottobre 1492. Poco più a sud, sulla riva destra del Liro, tocca il santuario di San Guglielmo, edificato sopra la grotta dell’eremita Guglielmo, vissuto nell’XI secolo e patrono della Val San Giacomo (questo il vero nome della valle che tutti ormai chiamano Valchiavenna). All’altezza dell’abitato di San Giacomo Filippo il percorso si affaccia ancora sul letto roccioso del Liro, in cui la corrente ha scavato grandi marmitte e sinuosi scivoli. Ancora pochi chilometri ed eccoci a Chiavenna, uno dei centri più belli e più ricchi di testimonianze storiche dell’intera provincia di Sondrio. I maggiori tesori sono custoditi nella collegiata di San Lorenzo, nel cui museo si ammira lo splendido capolavoro di oreficeria medievale noto col nome di "Pace di Chiavenna" (perché veniva scambiato durante la messa in segno di pace): una preziosa coperta di evangeliario in oro sbalzato e filigrana, gemme e smalti, donato alla città da Federico Barbarossa. Altra superba testimonianza di arte medievale è il grande fonte battesimale del 1156, ricavato da un unico blocco di pietra ollare e decorato con un altorilievo raffigurante la cerimonia della benedizione dell’acqua battesimale. L’atmosfera delle vie del centro, tagliate dal fiume Mera, è intima ed elegante, con belle vie su cui affacciano palazzi antichi, portali e fontane in pietra ollare. Nell’antico quartiere artigiano s’affaccia sulla Mera il Mulino di Bottonera, oggi museo, con le sue pregevoli carpenterie lignee e il complesso gioco di pulegge, macine e nastri, che funzionavano giorno e notte sfruttando l’energia idraulica del fiume. Nella zona di Pratogiano, all’ombra di alberi secolari, si allineano gli ingressi dei crotti pubblici, in cui possiamo assaggiare i piatti della cucina locale coi pregiati vini valtellinesi. I crotti sono vere e proprie istituzioni enogastronomiche, la cui tradizione ha radici nella convivialità famigliare, come ci racconta nell’intervista Guido Scaramellini. A monte del centro il Parco del Paradiso è inserito nella più ampia Riserva Naturale Marmitte dei Giganti, un’area spettacolare, interessata dalla presenza di queste curiose formazioni geologiche, che può essere visitata grazie a un itinerario pedonale attrezzato. A valle di Chiavenna si distende l’omonimo piano, un piatto fondovalle a bosco e prato, dove sorge Samolaco, oggi a qualche chilometro dalla sponda nord del Lago di Mezzola. Fino al Medioevo, questo specchio d’acqua era unito al ramo settentrionale del Lario, ramo che veniva chiamato addirittura Lago di Chiavenna, e il borgo di Samolaco vi si affacciava col suo porto, come suggerisce l’antico nome di «Summo Laco». I verdi riflessi del Lago di Mezzola, o meglio del suo affluente Mera nel punto in cui vi si getta, illuminano l’ultimo tesoro chiavennasco, l’oratorio di San Fedelino. Edificato nel luogo in cui nel 964 furono rinvenuti i resti di san Fedele, protomartire della chiesa comasca, il tempietto, detto "San Fedelino" per le sue piccole dimensioni, è una delle prime testimonianze romaniche della diocesi di Como.