ITINERARI. Val di Susa, l’occidente d’Italia
Sotto il Rocciamelone quasi nessuno ricorda più che questo monte a ridosso di Susa era stato ritenuto per secoli la vetta più elevata della cerchia alpina con i suoi 3538 metri. Le indagini dei cartografi, dei geografi e dei primi appassionati di alpinismo alla De Saussure lo hanno poi spodestato assegnando il titolo alle imponenti cime valdostane del tetto d’Europa. Ma nulla toglie che, perduto un record, la Val Susa ne difenda gelosamente altri. Quello di marcare il punto più occidentale del territorio italiano, ad esempio: la Rocca Bernauda, oltre Bardonecchia, è a 6 gradi, 37 primi e 32 secondi a est di Greenwich. Oppure quello di essere percorsa per tutta la sua lunghezza dalla prima ferrovia transalpina italiana, la linea del Fréjus, il cui tunnel è stato aperto nel lontano 1871, scavato con le rivoluzionarie perforatrici pneumatiche del vogherese ingegner Grattoni. Quello, infine, di aver importato in Italia la pratica dello sci. Era il novembre 1896 quando Adolf Kind, svizzero trapiantato a Torino, si fece spedire dai connazionali un paio di sci di legno e salì sui monti sopra Giaveno per collaudarli inaugurando una moda che presto ebbe successo. Tanto successo che fu proprio Bardonecchia a ospitare nel 1909 i primi campionati italiani di sci alpino, e questo, se vogliamo, sarebbe un ulteriore titolo di vanto valsusino, cioè di un territorio tra il crinale delle montagne e la pianura padana che per la sua stessa collocazione geografica è stato una marca di confine. La Val Susa è la porta d’Italia di chi, proveniente dall’altro versante delle Alpi, scendeva e scende verso la penisola. E così da sempre. Annibale nel 218 avanti Cristo passò probabilmente dal Monginevro. Lo imitò Carlo Magno nel 773 quando volle farla finita con i Longobardi di suo suocero Desiderio, ma il franco scelse il Moncenisio. Da questi valichi transitò il diacono Martino, da questi gioghi i francesi hanno spesso rivolto la loro golosa attenzione alla pianura, a Torino, a Pinerolo. Un contentino sono riusciti a prenderselo in sede di trattato di pace al termine della seconda guerra mondiale, quando la minuscola Valle Stretta, presso Bardonecchia, passò di mano e la linea di demarcazione fu arretrata a nostro danno anche al Moncenisio e a Claviere, paese spezzato in due e riunificato solo in tempi recenti. È il destino delle terre di confine quello di essere contese. In questo territorio confluiscono, si compenetrano e si sovrappongono tre aree linguistiche, la piemontese, l’occitana (cioè provenzale) e l’arpitana, di matrice franco-provenzale. Un pasticcio culturale? Non proprio. La comunità sa compattarsi attorno a un’identità che riconosce propria e unica; è una comunità di persone che hanno a cuore il futuro del proprio territorio perché consapevoli che così difendono il futuro dei singoli, delle famiglie, dei gruppi sociali. In questa ottica va probabilmente letto il no alla nuova linea ferroviaria italo-francese, una posizione che (depurata dalle punte di estremismo facile a sconfinare nell’illegalità e nella violenza) riflette in ultima analisi l’ansia per la sopravvivenza di un mondo che viene visto esposto a infiniti rischi. Mondo un tempo di agricoltori, di allevatori e artigiani, poi transitato verso l’industria e il terziario. Mondo che oggi gioca la carta importante del turismo estivo e invernale. Stazioni sciistiche che si chiamano Bardonecchia, Cesana. Sestriere, Sauze d’Oulx, Chiomonte sono mete appetibili per chi pratica il fondo e la discesa. Le Olimpiadi invernali del 2006 sono passate alle storia come le Olimpiadi di Torino, solo che il capoluogo subalpino si è gloriato di un evento sportivo di risonanza mondiale svoltosi per buona parte in valle, lontano dal contesto urbano, né poteva essere altrimenti. Paradiso dei fondisti, l’alta Val Susa è pure emblema dello sci senza frontiere: i 400 chilometri di piste innevate della cosiddetta Via Lattea si snodano tra Sestriere, Sauze d’Oulx, Claviere, Cesana, Sansicario, Pragelato e il comune francese di Monginevro. L’Europa sciistica ha fatto in fretta a trovare qui una perfetta integrazione. Se poi una discesa brucia energie e mette appetito, nessun problema: la valle è anche un paradiso della buona tavola, magari ruspante ma sempre eccellente grazie alle carni e al latte degli alpeggi, ai formaggi (le tome inconfondibili, il Reblochon, il tipico Moncenisio), ai salumi, al miele, alla frutta. Depositati gli sci, mentre le giornate si allungano resta il tempo per una ricognizione all’interno delle aree naturalistiche protette, il Bosco Grande di Salbertrand ad esempio, oppure il parco naturale dei laghi di Avigliana, o il parco Orsiera-Rocciavré istituito dalla regione 1980, una delle più estese zone del Piemonte messe sotto tutela per essere consegnata intatta alle generazioni future. Il turista non dovrà infine snobbare i monumenti valsusini. All’ingresso della valle, arrivando da Torino, sarà stato sorpreso dall’imponente mole della Sacra di San Michele, a poco meno di 1000 metri d’altezza sul monte Pirchiriano. L’abbazia del X secolo era punto centrale di una via di pellegrinaggio di duemila chilometri che andava da Mont Saint Michel nella Francia settentrionale a Monte Sant’Angelo sul Gargano. L’abbazia della Novalesa, verso il Moncenisio, sorse nel IX secolo e fu importante centro benedettino di irradiamento culturale.
Fatiscente, fu acquisita dalla provincia di Torino nel 1972, restaurata e resa ai monaci veneziani di San Giorgio. Susa, piccola capitale della valle, è luogo di confluenza dei principali itinerari storici transalpini. Di origine celtica, l’arco di Augusto (anno 8 dopo Cristo) ricorda la tranquilla convivenza che si era instaurata tra indigeni e romani. Per la sua posizione geografica la città è stata definita "chiave d’Italia". Come finirà la telenovela della nuova Torino-Modane nessuno può ancora dirlo, ma se e quando la ferrovia fosse realizzata Susa diventerebbe la chiave d’Europa.